Scopelliti, Fico: "Suo impegno sia di ispirazione per azione di riscatto civile contro ogni logica e pratica mafiosa"
"Il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso": in questa breve frase c'è tutta la grandezza della lezione morale che ci ha lasciato Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto di 27 anni fa in un agguato mafioso in Calabria. Aveva 56 anni ed era, in qualità di Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, in procinto di rappresentare l'accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo.
Quei principi di libertà, onestà e coraggio che ispirarono sempre il suo lavoro devono poter continuare a rappresentare, ancora oggi, i punti cardinali di un'azione di riscatto civile portata avanti da tutte le Istituzioni e le componenti della società, a cominciare dai più giovani. Un'azione di rinnovamento, culturale innanzitutto, contro ogni logica mafiosa, che si costruisce giorno dopo giorno garantendo nel Paese condizioni di dignità sociale, di legalità e di trasparenza, sottraendo così alla criminalità organizzata importanti leve di potere.
Non possiamo ignorare, infatti, come siano proprio le situazioni di degrado amministrativo, sociale, economico e civile a creare il terreno più fertile per la malavita. L'elevato numero di comuni sciolti per infiltrazione mafiosa negli ultimi anni, anche in Calabria - la regione di provenienza di Scopelliti - attesta una persistente fragilità del sistema di governo territoriale rispetto all'azione pervasiva della criminalità organizzata, a detrimento della democrazia.
Lo Stato non deve lasciare vuoti specialmente lì dove le difficoltà sociali sono maggiori, specialmente lì dove i cittadini hanno più bisogno di risposte. La testimonianza di Scopelliti ci sia di esempio. Così come da giudice non ha mai desistito dal suo impegno, pur avendo chiara la complessità e la pericolosità della sua missione contro la criminalità organizzata, così anche noi, la politica e le Istituzioni innanzitutto, ma anche ciascun cittadino, non dobbiamo cedere alla rassegnazione ma impegnarci ogni giorno, con gesti quotidiani, a una rigenerazione della coscienza civile collettiva, per renderla incondizionatamente e convintamente immune da ogni logica e pratica mafiosa".
"Erano le 8.30 del mattino di sessantadue anni fa quando nella miniera di Bois du Cazier divampò un terribile incendio. L'attesa straziante delle mogli e dei figli aggrappati per settimane ai cancelli della miniera nella speranza di riabbracciare i minatori intrappolati nei pozzi è, tra le tante testimonianze, una delle immagini più forti che continuano ad angosciare la nostra memoria collettiva. Nessuno sopravvisse alla tragedia: morirono 262 persone, di cui 136 italiani. L'esodo dei minatori italiani in Belgio di quegli anni si inquadrava in una sorta di 'emigrazione di Stato', avviata sulla scorta di un accordo bilaterale stipulato nel 1946 tra il Belgio, che aveva urgente bisogno di manodopera per le sue miniere, e l'Italia che, con l'accordo di tutti i partiti, aveva accettato di scambiare minatori con carbone.
Le piazze e le strade italiane furono tappezzate, da Nord a Sud, da manifesti rosa che, prospettando un lavoro sicuro e migliori condizioni di vita, incitavano gli italiani a partire per le miniere belghe. I nostri migranti affrontavano in condizioni disumane il viaggio, inseguendo un destino che avrebbe poi tradito tutte le loro speranze. La vicenda giudiziaria che seguì l'incidente durò per anni, senza peraltro arrivare mai ad un pieno accertamento delle responsabilità e ad un legittimo riconoscimento risarcitorio nei confronti dei familiari delle vittime.
Ricordare quell'evento così drammatico ci aiuta a recuperare un tassello fondamentale della nostra identità collettiva; un esercizio di memoria che assume anche il valore di un riconoscimento storico, e al tempo stesso morale, al contributo che gli italiani, protagonisti di un fenomeno migratorio che affonda le sue radici nell'Ottocento, hanno sempre dato al progresso dei Paesi di accoglienza.
In una fase storica come quella attuale, in cui il continente europeo è così profondamente lacerato da posizioni contrapposte sulla sorte dei migranti, queste dolorose testimonianze che affiorano dalla nostra storia di migrazioni ci aiutano a ricordare quando fuggivamo da condizioni difficili, alla ricerca di una prospettiva di vita dignitosa. È sempre con profondo rispetto che occorre rapportarsi alle storie di migrazione, che hanno attraversato nel tempo il percorso dell'umanità scandendone fasi ed epoche. Ed è nel vissuto di queste storie che possiamo ritrovare un filo che ci lega tutti, oggi come ieri".
Lo ha affermato il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico.
Scopelliti, Fico: "Suo impegno sia di ispirazione per azione di riscatto civile contro ogni logica e pratica mafiosa"
"Il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso": in questa breve frase c'è tutta la grandezza della lezione morale che ci ha lasciato Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto di 27 anni fa in un agguato mafioso in Calabria. Aveva 56 anni ed era, in qualità di Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, in procinto di rappresentare l'accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo.
Quei principi di libertà, onestà e coraggio che ispirarono sempre il suo lavoro devono poter continuare a rappresentare, ancora oggi, i punti cardinali di un'azione di riscatto civile portata avanti da tutte le Istituzioni e le componenti della società, a cominciare dai più giovani. Un'azione di rinnovamento, culturale innanzitutto, contro ogni logica mafiosa, che si costruisce giorno dopo giorno garantendo nel Paese condizioni di dignità sociale, di legalità e di trasparenza, sottraendo così alla criminalità organizzata importanti leve di potere.
Non possiamo ignorare, infatti, come siano proprio le situazioni di degrado amministrativo, sociale, economico e civile a creare il terreno più fertile per la malavita. L'elevato numero di comuni sciolti per infiltrazione mafiosa negli ultimi anni, anche in Calabria - la regione di provenienza di Scopelliti - attesta una persistente fragilità del sistema di governo territoriale rispetto all'azione pervasiva della criminalità organizzata, a detrimento della democrazia.
Lo Stato non deve lasciare vuoti specialmente lì dove le difficoltà sociali sono maggiori, specialmente lì dove i cittadini hanno più bisogno di risposte. La testimonianza di Scopelliti ci sia di esempio. Così come da giudice non ha mai desistito dal suo impegno, pur avendo chiara la complessità e la pericolosità della sua missione contro la criminalità organizzata, così anche noi, la politica e le Istituzioni innanzitutto, ma anche ciascun cittadino, non dobbiamo cedere alla rassegnazione ma impegnarci ogni giorno, con gesti quotidiani, a una rigenerazione della coscienza civile collettiva, per renderla incondizionatamente e convintamente immune da ogni logica e pratica mafiosa".
"Erano le 8.30 del mattino di sessantadue anni fa quando nella miniera di Bois du Cazier divampò un terribile incendio. L'attesa straziante delle mogli e dei figli aggrappati per settimane ai cancelli della miniera nella speranza di riabbracciare i minatori intrappolati nei pozzi è, tra le tante testimonianze, una delle immagini più forti che continuano ad angosciare la nostra memoria collettiva. Nessuno sopravvisse alla tragedia: morirono 262 persone, di cui 136 italiani. L'esodo dei minatori italiani in Belgio di quegli anni si inquadrava in una sorta di 'emigrazione di Stato', avviata sulla scorta di un accordo bilaterale stipulato nel 1946 tra il Belgio, che aveva urgente bisogno di manodopera per le sue miniere, e l'Italia che, con l'accordo di tutti i partiti, aveva accettato di scambiare minatori con carbone.
Le piazze e le strade italiane furono tappezzate, da Nord a Sud, da manifesti rosa che, prospettando un lavoro sicuro e migliori condizioni di vita, incitavano gli italiani a partire per le miniere belghe. I nostri migranti affrontavano in condizioni disumane il viaggio, inseguendo un destino che avrebbe poi tradito tutte le loro speranze. La vicenda giudiziaria che seguì l'incidente durò per anni, senza peraltro arrivare mai ad un pieno accertamento delle responsabilità e ad un legittimo riconoscimento risarcitorio nei confronti dei familiari delle vittime.
Ricordare quell'evento così drammatico ci aiuta a recuperare un tassello fondamentale della nostra identità collettiva; un esercizio di memoria che assume anche il valore di un riconoscimento storico, e al tempo stesso morale, al contributo che gli italiani, protagonisti di un fenomeno migratorio che affonda le sue radici nell'Ottocento, hanno sempre dato al progresso dei Paesi di accoglienza.
In una fase storica come quella attuale, in cui il continente europeo è così profondamente lacerato da posizioni contrapposte sulla sorte dei migranti, queste dolorose testimonianze che affiorano dalla nostra storia di migrazioni ci aiutano a ricordare quando fuggivamo da condizioni difficili, alla ricerca di una prospettiva di vita dignitosa. È sempre con profondo rispetto che occorre rapportarsi alle storie di migrazione, che hanno attraversato nel tempo il percorso dell'umanità scandendone fasi ed epoche. Ed è nel vissuto di queste storie che possiamo ritrovare un filo che ci lega tutti, oggi come ieri".
Lo ha affermato il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico.