07/03/2019
Montecitorio, Sala della Regina

Intervento introduttivo all’evento ‘L’economia del benessere: la rivoluzione possibile’

Buongiorno a tutti e a tutte,

Saluto il Ministro Tria e tutti i relatori presenti. Saluto il viceministro Lorenzo Fioramonti e lo ringrazio per l'invito a questa iniziativa che approfondisce un tema di rilevanza cruciale: come misurare in modo adeguato il benessere prendendo atto della insufficienza del PIL e delle distorsioni che esso ha creato.

Parto da un'affermazione quanto mai efficace e condivisibile contenuta nel Rapporto OCSE "Oltre il PIL" che costituisce la base della nostra riflessione: ciò che misuriamo influisce su quello che facciamo; se misuriamo la cosa sbagliata, faremo la cosa sbagliata; se non misuriamo qualcosa, viene trascurato, come se il problema non esistesse.

Io temo che negli ultimi decenni - come riconosce nella sostanza il Rapporto - abbiamo a livello globale tenuto conto quasi esclusivamente solo di un parametro e abbiamo fatto di conseguenza scelte errate. Abbiamo infatti utilizzato in modo improprio un indicatore come il PIL - che dà conto unicamente della produzione economica del mercato - quale indice del benessere. Dimenticando che la prosperità dipende anche e soprattutto dalla qualità della vita dei cittadini, assicurata da attività e servizi non di mercato.

E abbiamo così sposato acriticamente la logica della crescita a tutti i costi, ponendo in secondo piano i bisogni e le condizioni reali delle persone e trascurando gli effetti sull'ambiente, sul clima, sulle risorse energetiche, sulla giustizia sociale e sugli assetti globali del pianeta.

Questo grave errore di prospettiva - già denunciato da diversi osservatori come il professore Fitoussi qui presente - è stato posto drammaticamente in evidenza dalla crisi economica e finanziaria esplosa nel 2008. Sia le genesi della crisi sia la sua evoluzione hanno rivelato come l'andamento del PIL fornisca una rappresentazione parziale dell'economia e delle condizioni di una società.

Prima dello scoppio della crisi non si è compreso come i dati relativi alla crescita economica nei Paesi più sviluppati fossero in ampia misura gonfiati da uno sviluppo abnorme e incontrollato del settore finanziario. E non si è colto l'aumento delle diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione.

Successivamente, a partire dal 2010, molti osservatori e istituzioni, nazionali e sovranazionali, hanno creduto - appena il PIL è tornato positivo di qualche decimale - che l'economia fosse sulla strada di una ripresa solida e diffusa. E hanno ignorato altri indici da cui emergeva chiaramente come la maggior parte della popolazione, soprattutto i ceti medi e bassi, non percepisse alcun miglioramento delle proprie condizioni di vita ma anzi cadesse sotto la soglia di povertà.

Se durante la crisi avessimo avuto indicatori più adeguati a esprimere l'insicurezza economica delle persone, le istituzioni competenti avrebbero forse compreso che le conseguenze della recessione erano più gravi e profonde di quanto mostrato dalle statistiche sul PIL. E avrebbero probabilmente operato scelte incisive per mitigarne l'impatto negativo, come il Rapporto OCSE riconosce.

Occorre dunque fondare le decisioni pubbliche e le regole, nazionali e internazionali, su indicatori che consentano di misurare il benessere includendo tutte le dimensioni sinora non considerate adeguatamente: la qualità di vita delle persone, le disuguaglianze e la sostenibilità economica e sociale, il livello dei servizi, a cominciare dalla sanità e dalla istruzione, la fiducia dei cittadini, le variazioni del capitale umano e così via.

Indicatori che la politica deve utilizzare in modo lungimirante per l'individuazione delle priorità di azione, per destinare le risorse finanziarie e per valutare l'impatto delle politiche pubbliche e dei singoli interventi.

Siamo consapevoli che la definizione di nuovi indicatori, affidabili e condivisi, non è semplice. Sono tuttavia fiducioso che si possa pervenire a breve o medio termine a risultati concreti.

E questo perché esiste in questo ambito una importante e solida base a livello internazionale, costituita dalla riflessione già condotta in seno all'OCSE, alle Nazioni unite, alla comunità scientifica e, più recentemente, anche a livello nazionale.

Mi riferisco primariamente agli oltre 200 indicatori previsti per il monitoraggio dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite; all'Indice di sviluppo umano sempre dell'ONU; al progetto Better Life Index (Bli) dell'OCSE.

E mi riferisco anche agli indicatori di Benessere equo e sostenibile che il nostro Paese ha inserito nel DEF e nell'intero ciclo di programmazione economica e finanziaria.

Inoltre è evidente la crescente consapevolezza, nelle istituzioni, tra i cittadini, negli ambienti scientifici, della necessità e urgenza di andare oltre il PIL e il modello di sviluppo che su esso si fonda.

A puro titolo di esempio, posso dire che prima dell'evento odierno ho preso parte nelle ultime due settimane ad altre due iniziative in cui si è discusso di temi analoghi: un convegno sulla transizione ecologica e solidale e uno, organizzato dall'ASVIS a cui era presente il Presidente Conte, sull'attuazione in Italia dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Ho avuto conferma in queste occasioni che una parte crescente delle forze politiche, delle parti sociali, del mondo produttivo e della popolazione, soprattutto più giovane, è ormai consapevole che le politiche volte al mero incremento del PIL sono alla base dell'insostenibilità e della iniquità dell'attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.

Esiste dunque la consapevolezza che si debba operare un mutamento radicale nelle scelte del sistema produttivo, dei consumatori e di tutti gli attori economici e sociali e di passare da un'economia lineare a un'economia circolare. Sono certo che gli autorevoli relatori oggi presenti ci offriranno proposte concrete per procedere senza indugio nella giusta direzione.

Vi ringrazio.