Camera dei deputati, Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari
Partecipazione al convegno ‘La politica italiana e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. A che punto siamo?’
Buongiorno a tutti,
Saluto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i colleghi deputati e senatori presenti.
Ringrazio vivamente il Presidente Stefanini e il professor Giovannini per l'invito a partecipare all'evento odierno.
Sono contento di ritrovarci in quest'aula, poco più di otto mesi dopo l'analoga iniziativa che abbiamo svolto in avvio di questa legislatura, per fare il punto sullo stato di attuazione dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite nel nostro Paese. Ciò sulla base di ulteriori dati forniti da ASviS tra cui una prima valutazione delle misure contenute nella legge di bilancio 2019 e un sondaggio condotto tra la popolazione italiana sul grado di conoscenza e di adesione agli obiettivi dell'Agenda.
Si tratta di elementi di valutazione essenziali per consentire al Parlamento e al Governo di intervenire in questo ambito.
Prima di concentrarmi sulla situazione italiana, voglio ribadire un concetto su cui avevo molto insistito nel mio intervento dello scorso anno: realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile significa prendere atto dell'insostenibilità e della iniquità dell'attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.
Nonostante le tesi di chi tenta di minimizzare o addirittura negare il problema, i dati parlano chiaro. Mi limito a ricordare che nel 2018 le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera hanno battuto tutti i record precedenti; malgrado gli impegni previsti dall'Accordo di Parigi, se le tendenze attuali proseguiranno, si registrerà un riscaldamento del pianeta di circa 3 gradi entro la fine del secolo, con conseguenze disastrose. Di cui sono purtroppo manifestazione concreta le sempre più frequenti calamità climatiche.
Al tempo stesso, l'utilizzo globale delle risorse naturali è più che triplicato dal 1970 ad oggi e potrebbe raddoppiare entro il 2050.
A ciò si aggiunge la crescita delle diseguaglianze sociali e geografiche.
Permangono poi nel mondo larghe aree di instabilità e conflitto generati spesso proprio dall'accesso a risorse come acqua e cibo. La combinazione di questi fenomeni alimenta a sua volta i flussi migratori.
Persino nei Paesi più sviluppati, un senso di precarietà sta erodendo la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.
In cosa deve dunque consistere una nuova visione di paese e di società? L'Agenda 2030 ci impegna anzitutto a riconvertire il nostro sistema industriale e ricorrere a fonti di energia pulita e a basso costo. A passare da un'economia lineare a un'economia circolare.
Ma ci impegna anche a ridurre le crescenti diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione e tra le varie aree del mondo e lottare contro la povertà, garantendo a tutti risorse adeguate per una vita dignitosa.
A creare posti di lavoro sostenibili e duraturi e tutele sociali avanzate anziché competere sui mercati internazionali abbassando i salari e gli standard sociali.
Ad assicurare il diritto di tutti all'acqua e ai servizi igienico-sanitari.
A garantire a tutti un'educazione di qualità e opportunità di apprendimento.
Sono sfide certamente straordinarie che il nostro Paese - e l'Unione europea nel suo complesso - deve affrontare
I diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall'Agenda 2030 sono dunque una cornice strategica attraverso la quale le Istituzioni nazionali e sovranazionali possono governare invece di subire le dinamiche globali.
Veniamo ora a quanto è stato fatto e quanto resta da fare nel nostro Paese per procedere in questa direzione.
Devo purtroppo sottolineare che, da una lettura dei dati aggiornati prodotti oggi, emerge un preoccupante paradosso.
Il nostro Paese si è dotato negli ultimi anni - grazie al Parlamento - di strumenti avanzati per fornire alle Istituzioni competenti gli elementi di conoscenza e valutazione necessari per attuare l'Agenda 2030. Ma rimane indietro nel concreto perseguimento di molti obiettivi di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda gli strumenti voglio ricordare al riguardo che l'Italia è il primo Paese che ha inserito espressamente gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) nella programmazione economica e di bilancio, in particolare attraverso un Allegato al DEF. Il Governo deve inoltre presentare entro il mese di febbraio una relazione che misura l'impatto delle politiche di bilancio in questo ambito.
Ci siamo dotati alla fine del 2017 di una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
Sottolineo inoltre che presso la Commissione esteri della Camera - in questa come nella passata legislatura - è stato istituito un Comitato permanente della Commissione esteri sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ma le potenzialità offerte da questi strumenti non sono state ancora utilizzate appieno. E ne consegue che, nonostante i progressi compiuti in alcuni campi negli ultimi mesi, siamo ben lontani dai target. Tenendo questo passo, l'Italia non sarà in grado di centrare né gli obiettivi che si è impegnata a raggiungere entro il 2020, né quelli fissati al 2030.
Dobbiamo dunque cambiare rapidamente passo e avere il coraggio di operare scelte pubbliche che guardino al futuro.
Sono fermamente convinto che il Parlamento debba assumere gli obiettivi di sviluppo sostenibile quale dimensione necessaria dell'attività legislativa e delle altre funzioni parlamentari così come del funzionamento interno delle nostre assemblee.
Ma nessun intervento pubblico potrà da solo conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non accompagnato da un profondo salto culturale e da un mutamento radicale nelle scelte del sistema produttivo, dei consumatori e di tutti gli attori economici e sociali.
Un mutamento che presuppone il superamento dei timori legati ai possibili svantaggi a breve termine e guardi invece ai ben più consistenti benefici a lungo termine.
I cittadini, soprattutto quelli più giovani, in base al sondaggio reso oggi pubblico da ASviS, sembrano esserne più consapevoli. Pur dichiarandosi non adeguatamente informati sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, ne condividono infatti l'essenza e sono disponibili a modificare in modo responsabile i propri stili di vita, i comportamenti che teniamo a casa, a scuola e a lavoro. Un segnale questo sicuramente confortante.
Sintomo di questa credente consapevolezza popolare sono peraltro anche le manifestazioni pubbliche - con predominante presenza giovanile - che hanno avuto luogo in diversi Paesi per chiedere ai governi e alle istituzioni sovranazionali maggiore coraggio nella lotta ai cambiamenti climatici.
Spetta dunque alle istituzioni e alla politica dare seguito, senza esitazioni, a questa domanda di cambiamento.
Partecipazione al convegno ‘La politica italiana e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. A che punto siamo?’
Buongiorno a tutti,
Saluto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i colleghi deputati e senatori presenti.
Ringrazio vivamente il Presidente Stefanini e il professor Giovannini per l'invito a partecipare all'evento odierno.
Sono contento di ritrovarci in quest'aula, poco più di otto mesi dopo l'analoga iniziativa che abbiamo svolto in avvio di questa legislatura, per fare il punto sullo stato di attuazione dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite nel nostro Paese. Ciò sulla base di ulteriori dati forniti da ASviS tra cui una prima valutazione delle misure contenute nella legge di bilancio 2019 e un sondaggio condotto tra la popolazione italiana sul grado di conoscenza e di adesione agli obiettivi dell'Agenda.
Si tratta di elementi di valutazione essenziali per consentire al Parlamento e al Governo di intervenire in questo ambito.
Prima di concentrarmi sulla situazione italiana, voglio ribadire un concetto su cui avevo molto insistito nel mio intervento dello scorso anno: realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile significa prendere atto dell'insostenibilità e della iniquità dell'attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.
Nonostante le tesi di chi tenta di minimizzare o addirittura negare il problema, i dati parlano chiaro. Mi limito a ricordare che nel 2018 le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera hanno battuto tutti i record precedenti; malgrado gli impegni previsti dall'Accordo di Parigi, se le tendenze attuali proseguiranno, si registrerà un riscaldamento del pianeta di circa 3 gradi entro la fine del secolo, con conseguenze disastrose. Di cui sono purtroppo manifestazione concreta le sempre più frequenti calamità climatiche.
Al tempo stesso, l'utilizzo globale delle risorse naturali è più che triplicato dal 1970 ad oggi e potrebbe raddoppiare entro il 2050.
A ciò si aggiunge la crescita delle diseguaglianze sociali e geografiche.
Permangono poi nel mondo larghe aree di instabilità e conflitto generati spesso proprio dall'accesso a risorse come acqua e cibo. La combinazione di questi fenomeni alimenta a sua volta i flussi migratori.
Persino nei Paesi più sviluppati, un senso di precarietà sta erodendo la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.
In cosa deve dunque consistere una nuova visione di paese e di società? L'Agenda 2030 ci impegna anzitutto a riconvertire il nostro sistema industriale e ricorrere a fonti di energia pulita e a basso costo. A passare da un'economia lineare a un'economia circolare.
Ma ci impegna anche a ridurre le crescenti diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione e tra le varie aree del mondo e lottare contro la povertà, garantendo a tutti risorse adeguate per una vita dignitosa.
A creare posti di lavoro sostenibili e duraturi e tutele sociali avanzate anziché competere sui mercati internazionali abbassando i salari e gli standard sociali.
Ad assicurare il diritto di tutti all'acqua e ai servizi igienico-sanitari.
A garantire a tutti un'educazione di qualità e opportunità di apprendimento.
Sono sfide certamente straordinarie che il nostro Paese - e l'Unione europea nel suo complesso - deve affrontare
I diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall'Agenda 2030 sono dunque una cornice strategica attraverso la quale le Istituzioni nazionali e sovranazionali possono governare invece di subire le dinamiche globali.
Veniamo ora a quanto è stato fatto e quanto resta da fare nel nostro Paese per procedere in questa direzione.
Devo purtroppo sottolineare che, da una lettura dei dati aggiornati prodotti oggi, emerge un preoccupante paradosso.
Il nostro Paese si è dotato negli ultimi anni - grazie al Parlamento - di strumenti avanzati per fornire alle Istituzioni competenti gli elementi di conoscenza e valutazione necessari per attuare l'Agenda 2030. Ma rimane indietro nel concreto perseguimento di molti obiettivi di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda gli strumenti voglio ricordare al riguardo che l'Italia è il primo Paese che ha inserito espressamente gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) nella programmazione economica e di bilancio, in particolare attraverso un Allegato al DEF. Il Governo deve inoltre presentare entro il mese di febbraio una relazione che misura l'impatto delle politiche di bilancio in questo ambito.
Ci siamo dotati alla fine del 2017 di una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.
Sottolineo inoltre che presso la Commissione esteri della Camera - in questa come nella passata legislatura - è stato istituito un Comitato permanente della Commissione esteri sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Ma le potenzialità offerte da questi strumenti non sono state ancora utilizzate appieno. E ne consegue che, nonostante i progressi compiuti in alcuni campi negli ultimi mesi, siamo ben lontani dai target. Tenendo questo passo, l'Italia non sarà in grado di centrare né gli obiettivi che si è impegnata a raggiungere entro il 2020, né quelli fissati al 2030.
Dobbiamo dunque cambiare rapidamente passo e avere il coraggio di operare scelte pubbliche che guardino al futuro.
Sono fermamente convinto che il Parlamento debba assumere gli obiettivi di sviluppo sostenibile quale dimensione necessaria dell'attività legislativa e delle altre funzioni parlamentari così come del funzionamento interno delle nostre assemblee.
Ma nessun intervento pubblico potrà da solo conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non accompagnato da un profondo salto culturale e da un mutamento radicale nelle scelte del sistema produttivo, dei consumatori e di tutti gli attori economici e sociali.
Un mutamento che presuppone il superamento dei timori legati ai possibili svantaggi a breve termine e guardi invece ai ben più consistenti benefici a lungo termine.
I cittadini, soprattutto quelli più giovani, in base al sondaggio reso oggi pubblico da ASviS, sembrano esserne più consapevoli. Pur dichiarandosi non adeguatamente informati sugli obiettivi di sviluppo sostenibile, ne condividono infatti l'essenza e sono disponibili a modificare in modo responsabile i propri stili di vita, i comportamenti che teniamo a casa, a scuola e a lavoro. Un segnale questo sicuramente confortante.
Sintomo di questa credente consapevolezza popolare sono peraltro anche le manifestazioni pubbliche - con predominante presenza giovanile - che hanno avuto luogo in diversi Paesi per chiedere ai governi e alle istituzioni sovranazionali maggiore coraggio nella lotta ai cambiamenti climatici.
Spetta dunque alle istituzioni e alla politica dare seguito, senza esitazioni, a questa domanda di cambiamento.
Vi ringrazio.