28/06/2019
L’Aquila, Palazzo Pica Alfieri

Presentazione del Rapporto 2017/2018 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione Europea

Saluto il Presidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo, i colleghi deputati, i rappresentanti dei consigli e delle assemblee regionali.

È per me un onore e un piacere concludere gli interventi della giornata odierna dedicata alla presentazione annuale del Rapporto sulla legislazione della Camera dei deputati.

Considero infatti il Rapporto uno strumento di grandissima importanza per consentire al Parlamento di essere un'istituzione pensante, un'istituzione che s'interroga su sé stessa, sul modo in cui produce le norme, su come utilizza gli strumenti legislativi, su ciò che è chiamato a correggere.

E permettetemi una piccola osservazione personale. Sono particolarmente emozionato che questa iniziativa della Camera venga presentata a L'Aquila, una città che ha sofferto tanto, e che porta ancora i segni delle ferite di quello che è accaduto proprio dieci anni fa. Il fatto che l'Istituzione Camera sia qui, oggi, assume per me un valore e un significato in più.

Il Rapporto costituisce una base fondamentale di conoscenza per riflettere proprio sulle tendenze in atto della produzione normativa e per prospettare possibili soluzioni condivise. A questo proposito il mio ringraziamento va alla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle province autonome per avere aderito alla proposta di avviare un percorso comune di raccolta dei dati e di riflessione sulla legislazione.

Insieme al Parlamento, i Consigli regionali sono le istituzioni cui la Costituzione affida la funzione legislativa: è quindi essenziale che le Camere e le assemblee regionali si confrontino sui metodi da adottare per migliorare la qualità della legislazione. Di grande rilevanza è stato anche il contributo delle prestigiose istituzioni scientifiche che hanno concorso alla redazione del Rapporto, quale l'Osservatorio sulle fonti dell'Università di Firenze e l'Istituto di studi sui Sistemi Regionali Federali e sulle Autonomie del CNR.

Quest'anno il Rapporto - ampiamento illustrato dagli interventi di chi mi ha preceduto - è dedicato ad un tema che considero fondamentale per il buon funzionamento della nostra democrazia e su cui mi sono interrogato molto in questi mesi da Presidente della Camera: il governo della complessità.

Fin dal mio discorso di insediamento ho insistito sulla necessità di "porre fine a un modo di legiferare confuso, fatto di aggiustamenti continui, deroghe, estensioni, perché questo modo crea incertezza e diventa un danno per i cittadini e per la crescita del Paese". È un'esigenza quanto mai attuale oggi, che richiede, a poco più di anno dall'avvio della Legislatura, un ragionamento organico e soluzioni concrete.

E ritengo altamente significativo avviare questo ragionamento proprio a L'Aquila: spesso l'emergenza è contrapposta all'ordinata legislazione. Quante volte, in nome dell'emergenza, sono state previste deroghe, sono stati attribuiti poteri straordinari e compiute forzature rispetto alle ordinate procedure dello Stato di diritto, nella speranza di ottenere risultati certi in tempi rapidi.

Il dibattito che abbiamo svolto stamane ha avuto il merito, superando luoghi comuni ormai un po' stantii, di ribadire un dato di fondo: la complessità della legislazione è prima di tutto figlia della complessità della realtà italiana. L'Italia è caratterizzata da un forte pluralismo: un pluralismo territoriale, con una diversificazione che va anche al di là del tradizionale dualismo Nord-Sud; un pluralismo sociale e culturale; un pluralismo economico (si pensi al forte ruolo delle piccole e medie imprese).

A questo si aggiunge - ed è un tratto che accomuna tutte le democrazie contemporanee - la crescente proliferazione e frammentazione di interessi, così come la progressiva tecnicizzazione di interi settori del nostro vivere quotidiano, entrambi fenomeni che incidono profondamente sulla produzione legislativa.

La qualità della legislazione dipende quindi in primo luogo dalla capacità di governare e ordinare tutto questo, di governare questo pluralismo, saperlo incanalare, trovare le necessarie sintesi.

Fino agli anni '70 dello scorso secolo partiti di massa fortemente radicati nella società hanno saputo svolgere questo ruolo. Successivamente i partiti di massa sono entrati in crisi così come i grandi soggetti sociali collettivi; al tradizionale conflitto sociale ed economico tipico delle società industriali si sono affiancate nuove linee di conflitto su nuove questioni, come quelle ambientali o quelle delle diverse "soggettività" che rivendicavano riconoscimento e diritti (i giovani, le donne, le minoranze sessuali); lo stesso sistema economico è profondamente mutato con la globalizzazione e con la scomparsa, in molti paesi occidentali, della centralità della grande industria. E, in questo quadro, più recentemente, la crisi economica globale ha prodotto timori, disagi, un accrescimento della sensazione di precarietà sociale ed esistenziale.

A fronte di questa accresciuta complessità, si è sempre più consolidato, soprattutto dagli anni ottanta, il ruolo dell'Unione europea nel riavvicinamento delle legislazioni nazionali e nella definizione della cornice strategica delle politiche pubbliche. L'attività legislativa dell'Unione europea è stata certamente - soprattutto in alcuni settori, penso tra gli altri agli appalti, all'ambiente, alla tutela dei consumatori, alla politica regionale - un fattore importante per uno sviluppo "ordinato" dell'azione normativa nazionale. Ciò soprattutto per il ricorso, da parte del legislatore europeo, ad un metodo di produzione normativa imperniato su grandi pacchetti legislativi concepiti secondo una strategia di azione.

Al tempo stesso, a partire dalla fine degli anni novanta, le regole europee di finanza pubblica e per il coordinamento delle politiche economiche hanno posto vincoli quantitativi, e persino qualitativi e procedurali, alle decisioni di spesa. Si sono così ridotti i margini per utilizzare delle risorse pubbliche al fine di dare soddisfazione più o meno strutturale alla miriade di interessi sociali, territoriali ed economici del nostro Paese.

Ma - contrariamente ad alcune letture superficiali o parziali -l'Unione europea non ha certo eliminato il compito tipico del legislatore statale e regionale: quello di definire, appunto entro la cornice comune europea, le priorità nel governo della complessità italiana, dando risposta alle domande della nostra società.

Per migliorare la qualità della legislazione occorre quindi in primo luogo trovare le modalità più adatte per ascoltare, dopo così grandi cambiamenti, queste domande.

Anche per questo ho insistito, fin dall'inizio della mia Presidenza, sull'importanza di esaminare le proposte di legge di iniziativa popolare. Rispetto alle quali i dati del Rapporto relativi alle due legislature precedenti non appaiono confortanti, anche se posso registrare con soddisfazione un'inversione di tendenza in questa legislatura: sono infatti in corso di esame da parte delle competenti commissioni importanti progetti di legge di iniziativa popolare come quelli in materia di separazione delle carriere dei magistrati; eutanasia; immigrazione.

Un altro modo per aumentare la capacità di "ascolto" della società è dato da un potenziamento degli strumenti per l'istruttoria legislativa. In questo ambito occorre individuare le modalità per dare spazio a consultazioni pubbliche, anche attraverso l'opportuno utilizzo di strumenti informatici.

Ugualmente occorre rendere più effettivo il ricorso alle valutazioni di impatto della regolamentazione, individuando anche apposite modalità di interlocuzione tra Parlamento e Governo sull'utilizzo di questi strumenti.

A fianco dell'esigenza di "ascolto" della società vi è poi quella di saper bene elaborare in Parlamento le domande che dalla società provengono.

Non si svolge certo bene questa funzione quando la legislazione è concentrata in pochi grandi provvedimenti, come i decreti-legge e la legge di bilancio, il cui iter - come la recente esperienza purtroppo ci ricorda - rischia di divenire farraginoso, poco trasparente e limitativo addirittura delle prerogative delle Camere.

Come sapete, lo scorso 19 giugno ho inviato, facendo anche seguito alle preoccupazioni espresse dai gruppi parlamentari, una lettera al Presidente Conte per sottolineare la potenziale alterazione dei rapporti tra Parlamento e Governo prodotti dal ricorso frequente a decreti leggi di contenuto piuttosto ampio e relativo a più settori.

Questi provvedimenti rischiano di incidere pesantemente sulla programmazione dei lavori e di comprimere oltre misura i tempi di esame per la Camera che è chiamata ad esaminarli per seconda, in quello che è stato ribattezzato da alcuni "monocameralismo alternato": una tendenza non nuova ma che in questa legislatura sembra essersi accentuata.

Occorre dunque ricondurre il governo della complessità ad un maggiore ventaglio di strumenti, sulla base di una leale collaborazione, declinata nei termini di un'intesa fra Parlamento e Governo: un contenimento del ricorso alla decretazione d'urgenza in cambio della garanzia di tempi maggiormente certi - anche se comunque congrui per una discussione reale - per l'approvazione dei provvedimenti più importanti dell'agenda di governo. In questa logica, un primo strumento da utilizzare sono i disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica. Già attualmente il regolamento della Camera consente (art. 123-bis, commi 2 e 3) di individuare il termine di deliberazione della Camera sui disegni di legge collegati. Si tratta di una norma il cui uso andrebbe incentivato.

Un altro strumento è rappresentato dalle leggi-delega. Un veicolo a cui possono essere affidate le grandi riforme di settore. Il Rapporto evidenzia un peggioramento nella redazione delle leggi delega, soprattutto per la vaghezza dei principi e criteri direttivi, oppure per la loro sovrapposizione agli oggetti della delega stessa. Se su questo aspetto deve essere concentrata grande attenzione - magari valorizzando e rafforzando il contributo del Comitato per la legislazione - allo stesso tempo va considerato come la delegazione legislativa possa essere - e molto spesso infatti è stata - un modello virtuoso di co-legislazione fra Parlamento e Governo, nel momento in cui il Governo recepisce gran parte delle condizioni e delle osservazioni contenuti nei pareri formulati dalle Commissioni di merito.

Un maggiore ricorso ai disegni di legge collegati e alle deleghe di riforma settoriale potrebbe aiutare a riarticolare e a riordinare il lavoro legislativo per sessioni, sul modello della sessione di bilancio e della sessione europea.

Inoltre, una volta assicurato questo più ampio ventaglio di strumenti per la decisione legislativa, potrebbe essere più radicale l'intervento per debellare le attuali "patologie" del sistema, che si verificano soprattutto nei decreti-legge e nella legge di bilancio; si potrebbe ad esempio ipotizzare una convenzione tra le presidenze delle Camere per l'introduzione di criteri più restrittivi di ammissibilità degli emendamenti ai decreti-legge. O, ancora, un'integrazione delle circolari delle presidenze di Camera e Senato del 2001 per stabilire - sviluppando un criterio presente, anche se solo a titolo orientativo, nell'analoga circolare della Presidenza del Consiglio - un numero massimo di commi (che potrebbe essere dieci) e di parole per articolo di un progetto di legge. In questo modo si potrebbero eliminare alla radice i fenomeni del "compattamento" del testo in un solo articolo e dei maxiemendamenti al Senato, fenomeni che pregiudicano la leggibilità dei testi legislativi.

Credo infine che occorra valutare con attenzione - anche sulla scorta di modelli di altre democrazie europee e delle istituzioni dell'Unione europea, l'ipotesi di prevedere, eventualmente mediante il ricorso ad una intesa interistituzionale, la presentazione da parte del Governo alle Camere di un programma legislativo semestrale.

Il programma indicherebbe quali disegni di legge il Governo intende presentare, consentendo alle Camere di meglio definire la programmazione dei lavori, in Assemblea e nelle commissioni.

Voglio concludere ribadendo che le istituzioni rappresentative si muovono attualmente in un contesto difficile. E oggi è importante rispondere alle sollecitazioni al cambiamento - compresi i moniti già ricordati che autorevolmente ci giungono dalla Corte costituzionale - senza arroccamenti in posizioni di sterile difesa dello status quo ma in una logica autenticamente riformatrice.