13/06/2018
Camera dei deputati, Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari

Indirizzo di saluto alla giornata conclusiva del Festival per lo sviluppo sostenibile

Buongiorno a tutti e a tutte,

Saluto i colleghi e le colleghe deputati e senatori.

Saluto e ringrazio vivamente il Presidente Stefanini e il professor Giovannini per l'invito a partecipare all'evento odierno che chiude l'edizione 2018 del Festival dello sviluppo sostenibile.

Credo infatti che questa iniziativa sia fondamentale per diffondere nel nostro Paese la consapevolezza della importanza degli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, di cui purtroppo nel dibattito istituzionale come nell'opinione pubblica, si sottovaluta o addirittura si ignora l'esistenza.

Eppure realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile non risponde soltanto a un impegno solenne che abbiamo assunto il 25 settembre del 2015 sottoscrivendo, insieme ad altri 192 Stati, l'Agenda 2030.

Significa anche e soprattutto porre in essere un nuovo modello di sviluppo in grado di combinare, in modo efficace ed equo, crescita economica, occupazione, giustizia, dignità, solidarietà intergenerazionale e territoriale, diritti sociali e tutela dell'ambiente.

Si tratta di un punto di svolta nella visione stessa del mondo: la presa d'atto dell'insostenibilità e della iniquità dell'attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.

Attuare l'Agenda 2030 significa dunque uscire dalla logica della crescita a tutti i costi; dal dominio assoluto, nelle scelte politiche e legislative, dei parametri legati all'andamento del PIL e del suo rapporto con il deficit e con il debito pubblico.

Significa ridurre le inaccettabili diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione e tra le varie aree del mondo, e lottare contro la povertà.

Significa garantire a tutti un lavoro e risorse adeguate per una vita dignitosa.

Significa che la competizione sui mercati internazionali non può avvenire abbassando il costo del lavoro e le tutele sociali.

Significa perseguire una effettiva eguaglianza di genere.

Significa assicurare il diritto di tutti all'acqua e ai servizi igienico-sanitari.

Significa riconvertire il nostro sistema industriale e ricorrere a fonti di energia pulita e a basso costo.

Significa fornire a tutti un'educazione di qualità e opportunità di apprendimento.

Significa modificare il nostro stesso modo di consumare e produrre cibo.

Sono sfide certamente straordinarie che il nostro Paese - e l'Unione europea nel suo complesso - deve affrontare perché questa è - lo sottolineo - l'unica via per garantire un benessere durevole ed equo alle prossime generazioni.

L'unica via per governare le dinamiche globali, dalla competizione sui mercati alle migrazioni, dai cambiamenti climatici alla scarsità di risorse, dalle guerre ai conflitti sociali.

Se non attueremo nei 12 anni che ci separano dal 2030 questo cambiamento profondo non comprometteremo soltanto l'ambiente del nostro pianeta, ma mineremo i fondamenti stessi del modello di società europeo e dei nostri stessi sistemi democratici.

La progressiva carenza di risorse energetiche, l'ulteriore impoverimento di larghe fasce della popolazione, la negazione dei diritti, i disastri climatici, le diseguaglianze e la precarietà metterebbero infatti a repentaglio la coesione sociale e le stesse regole della convivenza civile e democratica.

Se condividiamo questa visione, è necessario porci oggi una domanda: come sta procedendo il nostro Paese nella direzione indicata dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile?

Il professor Giovannini ci illustrerà in dettaglio, sulla base dell'ultimo rapporto dell'Asvis, quanto è stato fatto e quanto resta da fare come pure i punti di forza e di debolezza del nostro Paese.

Voglio tuttavia sottolineare come, dalla lettura del rapporto, emerga un quadro non confortante: nonostante i progressi compiuti in alcuni campi siamo ben lontani dai target previsti. Ed è evidente che, tenendo questo passo, l'Italia non sarà in grado di centrare né gli obiettivi che si è impegnata a raggiungere entro il 2020, né quelli fissati al 2030.

Occorre dunque, lo dice con chiarezza il rapporto, cambiare rapidamente passo e porsi nelle condizioni di elaborare scelte pubbliche che guardino al futuro, che si inseriscano in strategie organiche di intervento a lungo termine, il cui orizzonte non sia costituito o dalla prima scadenza elettorale o dalla ricerca di risultati immediati ma effimeri.

Si tratta di uno sforzo significativo che, per le ragioni che illustravo prima, è necessario intraprendere con il concorso di tutti gli attori istituzionali, economici e sociali.

In coerenza con il mio ruolo istituzionale, voglio ricordare che, per parte sua, il Parlamento ha incominciato gradualmente a muoversi nella giusta direzione, adeguando la base conoscitiva a disposizione delle Istituzioni in materia.

Grazie alla legge n. 163 del 2016, l'Italia è il primo Paese che, collegando gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) alla programmazione economica e di bilancio, li rende parte essenziale nella fase di formazione come in quella di valutazione delle politiche pubbliche.

Ciò attraverso due documenti predisposti ogni anno dal Ministro dell'Economia e delle Finanze.

Il primo consiste in un Allegato al DEF, che deve riportare l'andamento nell'ultimo triennio di 12 indicatori BES e le previsioni sull'evoluzione degli stessi nel periodo di riferimento del DEF.

Il secondo documento è una Relazione che il Ministro deve presentare alle Camere entro il 15 febbraio di ciascun anno e che deve prevedere l'andamento degli indicatori BES nel triennio coperto dalla Legge di Bilancio alla luce delle misure in essa contenute.

Al DEF 2018 sono allegati per la prima volta gli andamenti di tutti i dodici indicatori che confermano un quadro non confortante per il nostro Paese rispetto all'Agenda 2030.

Si registra un deciso miglioramento in cinque indicatori (tra questi: reddito pro capite, numero disoccupati o inattivi, occupazione femminile, criminalità accompagnato tuttavia da un arretramento nei rimanenti sette, tra cui quelli relativi alle diseguaglianze, all'abbandono scolastico, alle emissioni di CO2 e al consumo di suolo).

Un esempio virtuoso in questa direzione è stato costituito, nella passata legislatura, dal Comitato permanente della Commissione esteri sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile, presieduto dalla deputata Spadoni, ora Vicepresidente della Camera.

Sono fermamente convinto che il Parlamento, anche avvalendosi pienamente delle potenzialità offerte da questi indicatori, debba considerare l'Agenda 2030, nelle sue varie declinazioni, quale dimensione necessaria dell'attività legislativa e delle altre funzioni parlamentari così come del funzionamento interno delle nostre assemblee.

Intendo valutare nelle prossime settimane ogni iniziativa utile, nei limiti delle mie competenze, per promuovere questo processo.

Certo, molto resta da fare anche fuori dalle istituzioni: nessun intervento pubblico potrà da solo conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile se non accompagnato da un profondo salto culturale e da un mutamento radicale nelle scelte del sistema produttivo, dei consumatori e di tutti gli attori economici e sociali.

Voglio infine formulare un auspicio. Nel ribadire l'apprezzamento per iniziative quali il Festival appena concluso, credo che occorra fare di più per informare i cittadini degli obiettivi di sviluppo sostenibile e coinvolgerli nei processi per metterli in atto.

È quanto prevede la stessa Agenda 2030, che chiede espressamente un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società nella sua attuazione.

Non è immaginabile procedere con successo verso quella che è un'autentica rivoluzione con un approccio dall'alto verso il basso.

Non si possono imporre all'alto nuovi modelli di produzione, consumo e comportamento: occorre attivare adeguati meccanismi di democrazia partecipativa.

Nel mio discorso di insediamento ho parlato di Parlamento come istituzione culturale e pensante. Questa istituzione culturale e pensante deve riuscire a porre delle tematiche importanti ed essere luogo della riflessione e del ragionamento, non il luogo della prossima tornata elettorale. Il Parlamento è il luogo in cui pensare insieme come raggiungere i prossimi obiettivi. Questa è una rivoluzione che deve essere posta in essere tramite un percorso legislativo, ma allo stesso tempo deve farla il Paese, con un modello culturale nuovo. Non c'è niente che possiamo ottenere subito e all'improvviso, solamente facendo una legge. Dobbiamo riuscire assieme a sviluppare un modello di transizione che ci porti verso un nuovo modello culturale, che dia nuove basi al nostro vivere civile come comunità. È l'unica strada che noi possiamo intraprendere, in un mondo che ha risorse finite e che dunque vanno tutelate per il benessere dell'intera comunità mondiale. Questo possiamo farlo attraverso dialogo, cooperazione, pace, strumenti di riflessione e pensiero: l'essenza stessa della democrazia è la tutela di tutti noi.

Grazie dell'attenzione.