27/03/2019
Montecitorio, Sala della Regina

Presentazione della Relazione del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale

Buongiorno a tutte e a tutti.

Saluto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, il Presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi e il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Saluto il Presidente del Garante Nazionale Mauro Palma, le componenti del Collegio Daniela de Robert ed Emilia Rossi, le autorità, i parlamentari e tutti voi che siete qui presenti.

Mi fa veramente piacere ospitare qui alla Camera dei deputati la relazione per il 2019 al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

La vostra autorità svolge infatti un ruolo prezioso - e costituzionalmente necessario - di vigilanza e di garanzia del rispetto dei diritti non solo di chi è in carcere ma di tutte le persone affidate alla custodia nei luoghi di polizia, e nelle residenze in esecuzione delle misure di sicurezza psichiatriche e di trattamenti sanitari obbligatori, nonché dei migranti trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio o in altre strutture.

La vostra relazione - costruita attorno a queste belle, semplici parole chiave: luoghi, mappe, orizzonti, saperi - è dunque uno strumento fondamentale per monitorare anzitutto l'effettiva attuazione della Costituzione che, all'articolo 27, affida alla pena un ruolo di rieducazione sociale e vieta trattamenti contrari al senso di umanità. E, all'articolo 13, punisce ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Non soltanto nelle carceri.

Ma è anche lo strumento che ci consente di verificare il rispetto del diritto internazionale e, in particolare, della Convenzione europea per i diritti umani, che, oltre a tutelare la libertà personale, afferma il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti. E inoltre ci permette di verificare il rispetto delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni unite in tema di disabilità che stabiliscono il divieto inderogabile di tortura o trattamenti inumani e degradanti in particolare nelle istituzioni psichiatriche o altre strutture residenziali per persone con disabilità.

In sostanza, attraverso l'attività del Garante possiamo misurare la maturità della democrazia, del rispetto dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto nel nostro Paese.

Un Paese che purtroppo non ha sinora ottemperato pienamente agli obblighi costituzionali e internazionali che ho richiamato.

Il primo e più grave profilo di criticità riguarda il sovraffollamento carcerario che si configura per i detenuti come una pena aggiuntiva alla quale nessuna sentenza li ha condannati.

Oltre al disagio e al degrado in cui queste persone sono costrette a vivere, il sovraffollamento rende ben difficile svolgere con efficacia tutte quelle attività finalizzate al recupero e al reinserimento sociale del condannato imposte dal dettato della Costituzione.

Purtroppo in questo ambito si sono registrati miglioramenti timidi e parziali negli ultimi anni.

Infatti, a partire dalla nota sentenza Torreggiani del 2013, con cui la Corte di Strasburgo condannò l'Italia a causa del sovraffollamento carcerario, i diversi provvedimenti approvati dalle Camere hanno consentito sì una riduzione della popolazione detenuta, ma questa rimane ancora elevatissima, come giustamente denuncia la Relazione presentata oggi.

Questo dato impone alle Istituzioni, con urgenza, l'adozione di misure risolutive che restituiscano la dignità alle persone detenute. Misure che contemplino la riduzione della popolazione carceraria attraverso opportuni interventi sul codice penale. Misure che assicurino, anche e soprattutto, che la pena sia uno strumento per agevolare un reinserimento sociale e non una condanna ulteriore alla esclusione e marginalizzazione e quindi alla probabile recidiva.

Migliorare le condizioni di chi sconta una pena in prigione non è un atto di indulgenza verso chi ha commesso reati. Restituire alla società una persona migliore rispetto a quella che ha fatto il suo ingresso in carcere, che abbia piena consapevolezza della sua dignità e dei suoi diritti, è il migliore antidoto per prevenire che essa torni a delinquere.

Consentitemi a questo riguardo di richiamare una iniziativa che la Camera dei deputati ha assunto recentemente, su mio impulso, per contribuire anche al percorso di rieducazione dei giovani ospitati negli istituti penitenziari minorili. Il 25 settembre scorso ho voluto sottoscrivere con il Ministro della Giustizia e il Ministro dell'Istruzione un Protocollo d'intesa con il quale ci siamo impegnati a realizzare un programma di sviluppo dell'insegnamento dell'educazione alla cittadinanza e della conoscenza della Costituzione nelle carceri minorili e nelle scuole. Ciò soprattutto attraverso incontri con il Presidente della Camera e altri deputati negli istituti penitenziari minorili.

Ho partecipato al primo di questi incontri - insieme ai ministri Bonafede e Bussetti - e stiamo già programmando ulteriori incontri in altre città italiane.

Sono infatti convinto che - come è scritto nel Protocollo - "ad ogni minore di età e giovane adulto che ha fatto ingresso nel circuito penale ancor più deve essere garantita l'opportunità di intraprendere un percorso di educazione alla legalità che lo renda un cittadino informato, consapevole, leale e responsabile".

Ciò che emerge, ancora una volta, dalla Relazione del Garante è che molto resta da fare per migliorare la condizione dei detenuti. Ed il Parlamento è chiamato a fare la sua parte, anche sulla base delle proposte che il Garante formulerà oggi.

Molto importanti sono le considerazioni puntuali della Relazione relative alla necessità di migliorare la qualità delle celle e di altri luoghi connessi alla privazione o limitazione della libertà personali, come in particolare i cortili e le sale colloqui.

Un aspetto su cui mi preme soffermarmi è quello delle diverse vulnerabilità presenti nel mondo carcerario.

A tale proposito, ritengo di fondamentale importanza le osservazioni e le proposte volte a garantire la maternità delle madri detenute negli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam) o che tengano presso di sé i figli piccoli all'interno degli Istituti di pena: un tema, questo, che richiede estrema sensibilità nella ricerca di quel fragile equilibrio, sottolineato nella Relazione, tra la difesa della relazione madre-figlio e il pieno sviluppo delle capacità cognitive ed evolutive del bambino nei suoi primi anni di vita.

C'è poi il tema della salute mentale, dei disturbi mentali che è proprio il carcere, così spesso, a produrre. Una piaga che abbiamo la responsabilità di affrontare seriamente, con interventi a 360 gradi, se è vero che anche quest'anno ci troviamo a conteggiare il numero di suicidi - drammaticamente elevato nel 2018 - tentati suicidi, atti di autolesionismo.

Rispetto al disagio psichico in carcere - e volendo il discorso si può ampliare al disagio psichico in generale nella nostra società - occorre intraprendere un percorso di maturazione culturale, da parte di noi tutti. Un percorso in cui deve trovare urgenza una riflessione sulla equiparazione tra malattia fisica e malattia psichica anche ai fini dell'esecuzione e della sospensione della pena, così come una riflessione critica e profonda sulla realtà delle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza.

Sempre in tema di vulnerabilità nel mondo carcerario vorrei citare, infine, quella delle persone di diverso orientamento sessuale e dell'accesso di questi ultimi alle attività comuni, aspetto che era stato sottolineato dal Garante anche nella Relazione dello scorso anno.

Una particolare rilevanza rivestono poi le osservazioni relative ai vari luoghi di trattenimento o di attesa - incluse le navi - in cui possono venire a trovarsi le persone migranti prima e dopo essere approdate nel nostro territorio. Su questo punto la relazione formula considerazioni critiche su recenti interventi normativi e proposte interpretative.

Concludo.

Nel Rapporto ho trovato particolarmente interessante la riflessione sui "non luoghi", quegli spazi cioè che a causa della loro anonimia annullano il piano relazionale dell'individuo: con il contesto circostante e così con la propria storia personale e con gli altri individui.

Preservare la dignità umana, darle valore, significa anche aver cura degli ambienti in cui si devono realizzare percorsi altamente significativi per persone private di libertà. Questi spazi non devono essere indifferenti alla dimensione soggettiva, non devono cadere nell'assoluta spersonalizzazione. Perché recuperare una sana relazione tra sé e il proprio contesto è condizione per costruire e tenere salda una relazione altrettanto sana con la società in cui si vive. A beneficiarne sarà poi la società stessa, saremo tutti noi.

Credo sia questa la direzione da seguire per far sì che nelle carceri si attui un vero percorso di crescita e perché da nonluoghi si trasformino in cantieri/laboratori per costruire e darsi una seconda opportunità.

Vi ringrazio.