Partecipazione al convegno ‘Corridoi umanitari per un’Europa solidale’
Buongiorno a tutti e a tutte.
Saluto la Viceministra Emanuela Del Re e il Presidente Brescia che ringrazio, unitamente ai rappresentanti di Caritas Italiana, Comunità di Sant'Egidio e Federazione delle Chiese Evangeliche, per aver promosso l'iniziativa odierna.
Un'iniziativa che pone l'attenzione su uno strumento concreto per la gestione dei flussi migratori, come quello dei corridoi umanitari.
Il dibattito sulla immigrazione - in Italia come in altri Paesi europei e non - tende purtroppo a trascurare le migliori prassi e le proposte concrete per governare questo fenomeno epocale, garantendo il rispetto del diritto internazionale e della Costituzione.
La scorsa settimana sono stato in visita ufficiale a Berlino dove ho incontrato il Presidente del Bundestag Schäuble e parlamentari di numerose forze politiche tedesche. Abbiamo con loro condiviso una considerazione: nei nostri Paesi si parla di immigrazione in termini non corretti, secondo gli schemi di una contrapposizione ideologica e di una polarizzazione che inevitabilmente finiscono per impoverire i ragionamenti e favorire posizioni estreme o semplicistiche.
Per questa ragione è molto importante parlare dei corridoi umanitari, una misura che consente ai potenziali beneficiari di protezione internazionale, in particolar modo i più vulnerabili, di trovare attraverso canali regolari e sicuri accoglienza e soprattutto integrazione nel nostro Paese.
Questo strumento è apprezzabile per almeno due ragioni.
La prima è di carattere metodologico: i corridoi sono un esempio di una cooperazione virtuosa tra diverse realtà, tra il livello nazionale e internazionale: da un lato i Ministeri competenti, l'UNHCR, l'OIM; dall'altro, le associazioni. Un metodo capace quindi di creare una condivisione di responsabilità e oneri, di offrire opportunità di accoglienza dei richiedenti asilo, secondo principi di collaborazione e solidarietà.
La seconda ragione sta nell'efficacia e nel potenziale del sistema dei corridoi: sino ad oggi grazie ad esso circa 2500 persone sono arrivate in Europa - di cui oltre 2000 in Italia - e ulteriori potranno giungere in base a protocolli già firmati. Persone provenienti da aree ad alta instabilità, con presenza di conflitti sanguinosi e governi autoritari.
Queste persone sono quindi accolte presso strutture qualificate, diffuse sul territorio e finanziate dalle associazioni private proponenti, che garantiscono anche percorsi di integrazione socio-culturale, senza oneri a carico dello Stato, in pendenza dell'iter ordinario per il riconoscimento della protezione internazionale.
I corridoi umanitari costituiscono un modello esemplare perché assicurano che il rifugiato non venga lasciato a sé stesso, come purtroppo accade per molti di coloro che arrivano nel nostro Paese, ma sia invece seguito e aiutato a inserirsi nella nostra società e nel mondo del lavoro. E attuano un sistema di accoglienza diffusa con evidente beneficio per tutti.
Concordo pertanto pienamente con l'obiettivo di questo convegno: quello di estendere il ricorso ai corridoi umanitari a livello di Unione europea, facendo in modo che il nostro Paese promuova a questo scopo interlocuzioni e reti con gli altri Paesi e con le istituzioni europee.
Sono infatti convinto che un problema globale come quello delle migrazioni possa trovare soluzione adeguata solo a livello sovranazionale. E che il reinsediamento di persone che necessitano di protezione internazionale da Paesi terzi - normalmente di transito - verso l'Europa sia uno dei pilastri per una strategia di governo ordinato e strutturale del fenomeno migratorio.
Purtroppo non possiamo nasconderci le difficoltà molto forti che occorre superare per pervenire a questo risultato. Ce lo dimostrano anzitutto i risultati che si sono registrati sinora nei programmi di reinsediamento che l'Ue ha adottato a partire dal 2015, sotto forma di raccomandazione e non con atti giuridicamente vincolanti.
Mi limito a ricordare che nell'ambito dell'attuale programma di reinsediamento dell'UE, avviato nel 2017, 20 Stati membri, su 28, si erano impegnati progressivamente a fornire più di 50mila posti alle persone più bisognose di protezione entro ottobre 2019. A pochi mesi da tale data solo 32mila persone sono state accolte.
Sappiamo poi che, nell'ambito del pacchetto legislativo di riforma dell'asilo, la Commissione europea aveva presentato nel 2016 una proposta di regolamento recante un quadro giuridico comune in materia di reinsediamento. La proposta - che peraltro non fissava direttamente i criteri per la ripartizione tra gli Stati membri dei rifugiati ma li demandava al Consiglio - non è stata approvata, dopo un difficile negoziato, prima della fine della legislatura europea.
L'estensione del ricorso ai corridoi umanitari è dunque perseguibile concretamente solo se si cambia passo. Se si prende atto a livello europeo che un fenomeno epocale come quello delle migrazioni può essere gestito in modo ordinato - e coerente con il diritto internazionale - soltanto attraverso un'azione comune articolata su più assi.
Il primo è costituito dalla creazione di centri di accoglienza, assistenza e informazione negli Stati di transito, gestiti dall'Unione in raccordo con le agenzie internazionali, evitando che i migranti siano lungo il percorso ridotti in schiavitù e siano oggetto di violenze indicibili da parte dei trafficanti di esseri umani. In questi centri potrebbero essere espletate le verifiche e le pratiche per avviare le persone meritevoli di protezione verso i Paesi dell'Unione attraverso canali legali e sicuri, come i corridoi umanitari e gli altri meccanismi di reinsediamento stabiliti con la normativa dell'Unione. È il momento di ragionare concretamente sulla sperimentazione di questi centri.
Il secondo, complementare, è quello della condivisione delle responsabilità e degli oneri relativi ai migranti che, al di fuori dei canali legali, giungano sul territorio europeo soprattutto via mare; ciò sia in termini di operazioni di soccorso, sia con riferimento alla successiva gestione a terra. Occorre, stabilire che chi - rifugiato o migrante - approda in uno Stato membro qualsiasi, va preso in carico dall'Europa nel suo complesso. E ciò richiede il superamento, non la semplice revisione, del regolamento di Dublino, attraverso l'abbandono del principio vigente dello Stato di primo approdo e l'automatica redistribuzione dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi membri.
Come è noto il meccanismo di ricollocazione dei migranti giunti in Italia e Grecia, adottato dall'Unione nel 2015, non è stato attuato da alcuni Paesi. Quei Paesi non possono essere i nostri modelli, perché le loro politiche vanno contro l'interesse dell'Italia. E non solo, vanno contro gli interessi dell'Europa tutta. I comportamenti contro le regole andrebbero quindi perseguiti anche con penalizzazioni di carattere economico, per esempio a valere sui fondi strutturali. Non è accettabile una violazione così grave e manifesta di un atto giuridicamente vincolante dell'Unione.
Il terzo asse è costituito da una piena cooperazione nel controllo delle frontiere esterne come nel contrasto del traffico di migranti e in generale alla tratta di essere umani e alla riduzione in schiavitù.
Il quarto consiste in un maggiore coordinamento dei sistemi nazionali di integrazione dei rifugiati e dei migranti legali, stabilendo standard minimi comuni coerenti con il diritto internazionale e i principi fondamentali dell'ordinamento europeo.
Il quinto consiste in un'azione decisa sulle cause stesse dei flussi migratori. Per ridurre i "movimenti primari", l'Unione europea deve fare molto di più per portare libertà e migliorare le condizioni economiche e sociali nei Paesi di origine dei migranti. Occorre dunque un sostegno più forte anche finanziario al consolidamento della pace, della democrazia, dello Stato di diritto, della crescita e della qualità di vita della popolazione nei Paesi del Mediterraneo e del Medioriente, come pure negli altri Paesi africani.
Credo, infine, che anche il prossimo quadro finanziario dell'Unione debba riflettere le priorità che ho richiamato, in particolare mediante un incremento degli stanziamenti relativi alla gestione del fenomeno migratorio. La dotazione proposta - 35 miliardi per tutto il periodo 2021-2027 - non mi sembra sufficiente, considerando che circa i due terzi di tali risorse sarebbero destinate al controllo delle frontiere esterne. L'entità degli stanziamenti riservati alla gestione dei flussi migratori, e il modo in cui essi sono distribuiti, riflettono il paradigma che assumiamo rispetto a questo fenomeno. Quello deteriore, e illusorio, del "No Way" e dei muri, oppure quello della gestione responsabile, solidale e lungimirante.
In tutti gli incontri che ho avuto con i miei omologhi di altri Parlamenti, come a Vienna lo scorso aprile, ho sottolineato la necessità che la legislatura europea che si sta per aprire, affronti queste questioni con serietà, intelligenza e lungimiranza.
Concludo ribadendo l'impegno mio e della Camera nel definire una strategia coerente per la gestione delle migrazioni a livello europeo. Al tempo stesso, sottolineo che invocare la pur necessaria solidarietà a livello europeo e denunciare l'atteggiamento egoistico e irresponsabile di molti partner, non può in alcun modo giustificare l'inadempimento degli obblighi discendenti dal diritto internazionale e della nostra Costituzione.
Dobbiamo pretendere solidarietà e condivisione di responsabilità, con ogni strumento a nostra disposizione, ma non possiamo pensare di farlo sulla pelle delle persone.
Permettetemi, in chiusura, una considerazione sull'idea di gestire il fenomeno migratorio costruendo dei muri. Non è così che un grande Paese come l'Italia può pensare di far fronte a un fenomeno epocale. Tutti i muri sono infatti destinati a essere superati o abbattuti. Lo dice la nostra storia.
Partecipazione al convegno ‘Corridoi umanitari per un’Europa solidale’
Buongiorno a tutti e a tutte.
Saluto la Viceministra Emanuela Del Re e il Presidente Brescia che ringrazio, unitamente ai rappresentanti di Caritas Italiana, Comunità di Sant'Egidio e Federazione delle Chiese Evangeliche, per aver promosso l'iniziativa odierna.
Un'iniziativa che pone l'attenzione su uno strumento concreto per la gestione dei flussi migratori, come quello dei corridoi umanitari.
Il dibattito sulla immigrazione - in Italia come in altri Paesi europei e non - tende purtroppo a trascurare le migliori prassi e le proposte concrete per governare questo fenomeno epocale, garantendo il rispetto del diritto internazionale e della Costituzione.
La scorsa settimana sono stato in visita ufficiale a Berlino dove ho incontrato il Presidente del Bundestag Schäuble e parlamentari di numerose forze politiche tedesche. Abbiamo con loro condiviso una considerazione: nei nostri Paesi si parla di immigrazione in termini non corretti, secondo gli schemi di una contrapposizione ideologica e di una polarizzazione che inevitabilmente finiscono per impoverire i ragionamenti e favorire posizioni estreme o semplicistiche.
Per questa ragione è molto importante parlare dei corridoi umanitari, una misura che consente ai potenziali beneficiari di protezione internazionale, in particolar modo i più vulnerabili, di trovare attraverso canali regolari e sicuri accoglienza e soprattutto integrazione nel nostro Paese.
Questo strumento è apprezzabile per almeno due ragioni.
La prima è di carattere metodologico: i corridoi sono un esempio di una cooperazione virtuosa tra diverse realtà, tra il livello nazionale e internazionale: da un lato i Ministeri competenti, l'UNHCR, l'OIM; dall'altro, le associazioni. Un metodo capace quindi di creare una condivisione di responsabilità e oneri, di offrire opportunità di accoglienza dei richiedenti asilo, secondo principi di collaborazione e solidarietà.
La seconda ragione sta nell'efficacia e nel potenziale del sistema dei corridoi: sino ad oggi grazie ad esso circa 2500 persone sono arrivate in Europa - di cui oltre 2000 in Italia - e ulteriori potranno giungere in base a protocolli già firmati. Persone provenienti da aree ad alta instabilità, con presenza di conflitti sanguinosi e governi autoritari.
Queste persone sono quindi accolte presso strutture qualificate, diffuse sul territorio e finanziate dalle associazioni private proponenti, che garantiscono anche percorsi di integrazione socio-culturale, senza oneri a carico dello Stato, in pendenza dell'iter ordinario per il riconoscimento della protezione internazionale.
I corridoi umanitari costituiscono un modello esemplare perché assicurano che il rifugiato non venga lasciato a sé stesso, come purtroppo accade per molti di coloro che arrivano nel nostro Paese, ma sia invece seguito e aiutato a inserirsi nella nostra società e nel mondo del lavoro. E attuano un sistema di accoglienza diffusa con evidente beneficio per tutti.
Concordo pertanto pienamente con l'obiettivo di questo convegno: quello di estendere il ricorso ai corridoi umanitari a livello di Unione europea, facendo in modo che il nostro Paese promuova a questo scopo interlocuzioni e reti con gli altri Paesi e con le istituzioni europee.
Sono infatti convinto che un problema globale come quello delle migrazioni possa trovare soluzione adeguata solo a livello sovranazionale. E che il reinsediamento di persone che necessitano di protezione internazionale da Paesi terzi - normalmente di transito - verso l'Europa sia uno dei pilastri per una strategia di governo ordinato e strutturale del fenomeno migratorio.
Purtroppo non possiamo nasconderci le difficoltà molto forti che occorre superare per pervenire a questo risultato. Ce lo dimostrano anzitutto i risultati che si sono registrati sinora nei programmi di reinsediamento che l'Ue ha adottato a partire dal 2015, sotto forma di raccomandazione e non con atti giuridicamente vincolanti.
Mi limito a ricordare che nell'ambito dell'attuale programma di reinsediamento dell'UE, avviato nel 2017, 20 Stati membri, su 28, si erano impegnati progressivamente a fornire più di 50mila posti alle persone più bisognose di protezione entro ottobre 2019. A pochi mesi da tale data solo 32mila persone sono state accolte.
Sappiamo poi che, nell'ambito del pacchetto legislativo di riforma dell'asilo, la Commissione europea aveva presentato nel 2016 una proposta di regolamento recante un quadro giuridico comune in materia di reinsediamento. La proposta - che peraltro non fissava direttamente i criteri per la ripartizione tra gli Stati membri dei rifugiati ma li demandava al Consiglio - non è stata approvata, dopo un difficile negoziato, prima della fine della legislatura europea.
L'estensione del ricorso ai corridoi umanitari è dunque perseguibile concretamente solo se si cambia passo. Se si prende atto a livello europeo che un fenomeno epocale come quello delle migrazioni può essere gestito in modo ordinato - e coerente con il diritto internazionale - soltanto attraverso un'azione comune articolata su più assi.
Il primo è costituito dalla creazione di centri di accoglienza, assistenza e informazione negli Stati di transito, gestiti dall'Unione in raccordo con le agenzie internazionali, evitando che i migranti siano lungo il percorso ridotti in schiavitù e siano oggetto di violenze indicibili da parte dei trafficanti di esseri umani. In questi centri potrebbero essere espletate le verifiche e le pratiche per avviare le persone meritevoli di protezione verso i Paesi dell'Unione attraverso canali legali e sicuri, come i corridoi umanitari e gli altri meccanismi di reinsediamento stabiliti con la normativa dell'Unione. È il momento di ragionare concretamente sulla sperimentazione di questi centri.
Il secondo, complementare, è quello della condivisione delle responsabilità e degli oneri relativi ai migranti che, al di fuori dei canali legali, giungano sul territorio europeo soprattutto via mare; ciò sia in termini di operazioni di soccorso, sia con riferimento alla successiva gestione a terra. Occorre, stabilire che chi - rifugiato o migrante - approda in uno Stato membro qualsiasi, va preso in carico dall'Europa nel suo complesso. E ciò richiede il superamento, non la semplice revisione, del regolamento di Dublino, attraverso l'abbandono del principio vigente dello Stato di primo approdo e l'automatica redistribuzione dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi membri.
Come è noto il meccanismo di ricollocazione dei migranti giunti in Italia e Grecia, adottato dall'Unione nel 2015, non è stato attuato da alcuni Paesi. Quei Paesi non possono essere i nostri modelli, perché le loro politiche vanno contro l'interesse dell'Italia. E non solo, vanno contro gli interessi dell'Europa tutta. I comportamenti contro le regole andrebbero quindi perseguiti anche con penalizzazioni di carattere economico, per esempio a valere sui fondi strutturali. Non è accettabile una violazione così grave e manifesta di un atto giuridicamente vincolante dell'Unione.
Il terzo asse è costituito da una piena cooperazione nel controllo delle frontiere esterne come nel contrasto del traffico di migranti e in generale alla tratta di essere umani e alla riduzione in schiavitù.
Il quarto consiste in un maggiore coordinamento dei sistemi nazionali di integrazione dei rifugiati e dei migranti legali, stabilendo standard minimi comuni coerenti con il diritto internazionale e i principi fondamentali dell'ordinamento europeo.
Il quinto consiste in un'azione decisa sulle cause stesse dei flussi migratori. Per ridurre i "movimenti primari", l'Unione europea deve fare molto di più per portare libertà e migliorare le condizioni economiche e sociali nei Paesi di origine dei migranti. Occorre dunque un sostegno più forte anche finanziario al consolidamento della pace, della democrazia, dello Stato di diritto, della crescita e della qualità di vita della popolazione nei Paesi del Mediterraneo e del Medioriente, come pure negli altri Paesi africani.
Credo, infine, che anche il prossimo quadro finanziario dell'Unione debba riflettere le priorità che ho richiamato, in particolare mediante un incremento degli stanziamenti relativi alla gestione del fenomeno migratorio. La dotazione proposta - 35 miliardi per tutto il periodo 2021-2027 - non mi sembra sufficiente, considerando che circa i due terzi di tali risorse sarebbero destinate al controllo delle frontiere esterne. L'entità degli stanziamenti riservati alla gestione dei flussi migratori, e il modo in cui essi sono distribuiti, riflettono il paradigma che assumiamo rispetto a questo fenomeno. Quello deteriore, e illusorio, del "No Way" e dei muri, oppure quello della gestione responsabile, solidale e lungimirante.
In tutti gli incontri che ho avuto con i miei omologhi di altri Parlamenti, come a Vienna lo scorso aprile, ho sottolineato la necessità che la legislatura europea che si sta per aprire, affronti queste questioni con serietà, intelligenza e lungimiranza.
Concludo ribadendo l'impegno mio e della Camera nel definire una strategia coerente per la gestione delle migrazioni a livello europeo. Al tempo stesso, sottolineo che invocare la pur necessaria solidarietà a livello europeo e denunciare l'atteggiamento egoistico e irresponsabile di molti partner, non può in alcun modo giustificare l'inadempimento degli obblighi discendenti dal diritto internazionale e della nostra Costituzione.
Dobbiamo pretendere solidarietà e condivisione di responsabilità, con ogni strumento a nostra disposizione, ma non possiamo pensare di farlo sulla pelle delle persone.
Permettetemi, in chiusura, una considerazione sull'idea di gestire il fenomeno migratorio costruendo dei muri. Non è così che un grande Paese come l'Italia può pensare di far fronte a un fenomeno epocale. Tutti i muri sono infatti destinati a essere superati o abbattuti. Lo dice la nostra storia.
Vi ringrazio.