02/07/2019
Montecitorio, Sala della Regina

Presentazione della relazione annuale per il 2018 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Buongiorno a tutti e a tutte.

Saluto il Presidente Roberto Rustichelli - al quale rivolgo i migliori auguri di buon lavoro - gli altri componenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la prof.ssa Muscolo e il prof. Ainis e le autorità intervenute.

Il ruolo che svolge l'Autorità - nel tutelare la concorrenza e nell'esercizio delle altre competenze attribuitele dalla legge - è essenziale per il buon funzionamento non soltanto del nostro sistema economico ma della nostra democrazia.

La libera concorrenza - voglio sottolinearlo - non è un valore o un obiettivo fine a sé stesso. Costituisce piuttosto uno strumento, uno dei più importanti, per assicurare la piena tutela dei principi e dei diritti riconosciuti dalla Costituzione e dai Trattati sull'Unione europea.

La tutela della concorrenza è dunque la chiave di volta per assicurare un sistema economico e sociale equo, inclusivo, che non tolleri posizioni di monopolio e oligopolio, che non lasci indietro nessuno. Una chiave decisiva per il governo delle dinamiche economiche della globalizzazione.

La tutela della concorrenza deve dunque essere volta non soltanto a promuovere la riduzione dei costi - a beneficio del consumatore e della competitività delle imprese - e l'efficienza del sistema produttivo. Deve anche saper premiare le imprese che sanno innovare, soprattutto in senso sostenibile sul piano ambientale e sociale; e penalizzare invece quelle che intendono competere in modo sleale, abbassando gli standard sociali, eludendo il pagamento delle imposte o pregiudicando la tutela dei diritti dei lavoratori.

Inoltre, prevenendo l'abuso di posizione dominante e la formazione di monopoli, la concorrenza è anche un presidio per un corretto funzionamento della nostra democrazia. Impedisce infatti che i giganti economici possano assumere posizioni di forza tali da condizionare i processi decisionali e comprimere diritti e libertà fondamentali.

E ciò vale soprattutto attualmente per i giganti dell'economia digitale ai quali la relazione dedica giustamente specifica attenzione, rilevando i rischi connessi alla posizione di potere da essi raggiunta nella fornitura di alcuni servizi digitali.

Il primo rischio è quello che tali posizioni dominanti possano impedire in futuro l'entrata nel mercato di nuovi operatori e ridurre gli incentivi all'innovazione ed al miglioramento dell'offerta, con effetti negativi sui costi per i consumatori e per l'efficienza e il dinamismo delle imprese; è sufficiente ricordare come colossi della rete abbiano acquisito start up o imprese digitali minori negli ultimi anni, non di rado con l'obiettivo di eliminare futuri concorrenti.

Il secondo rischio è connesso al fatto che i giganti del web sono oramai intermediari cruciali nelle transazioni economiche, nei rapporti sociali e nel sistema dell'informazione: la loro posizione dominante pone dunque la necessità di focalizzare l'attenzione sull'effettiva tutela di diritti e valori costituzionali, quali il diritto alla riservatezza, la libertà di espressione il pluralismo nell'informazione.

Particolarmente significative in questo ambito sono pertanto le istruttorie avviate dall'Autorità nei confronti di alcune di queste realtà per accertare se certe pratiche da esse poste in essere non abbiano violato i diritti dei consumatori, soprattutto con riguardo alla obsolescenza programmata di alcuni prodotti, e la tutela dei dati personali

Il terzo e non meno importante, rischio, è quello connesso alla tassazione dell'economia digitale. Profilo su cui certamente non possono intervenire, se non marginalmente, le autorità antitrust ma sono chiamate in causa le istituzioni politiche nazionali e sovranazionali.

Una recente indagine di Mediobanca evidenzia come circa due terzi dell'utile delle multinazionali web e del software è tassato in Paesi a fiscalità agevolata, con un risparmio fiscale di oltre 12 miliardi nel 2017. Che supera i 48 miliardi se si considera il periodo 2013-2017!

Alcuni di questi Paesi sono membri dell'Unione europea. La Commissione europea segnala che, in media, nell'Unione le imprese del comparto digitale subiscono una tassazione dell'8,5%, meno della metà di quella media delle imprese tradizionali.

Si tratta di uno degli aspetti più sconcertanti del più generale fenomeno della concorrenza fiscale dannosa: un fenomeno inaccettabile che genera evidenti vantaggi per alcuni Paesi e imprese a svantaggio di altri e del benessere comune più in generale. Esso ha infatti l'effetto di concentrare, in modo iniquo, la tassazione sui fattori meno mobili della produzione quali redditi da lavoro, e le imprese dell'economia tradizionale, soprattutto medie e piccole.E sottrae risorse che potrebbero essere utilizzate per interventi volti a stimolare la crescita sostenibile, l'occupazione, l'inclusione sociale.

In questo quadro, è evidente l'urgenza di stabilire regole comuni - a livello globale e non solo europeo - per tassare adeguatamente l'economia digitale. E spero che nella prossima legislatura europea si possano finalmente compiere passi concreti in questa direzione, considerato che tutte le proposte sinora avanzate, tra cui quelle della Commissione europea sulla web tax, si sono arenate a fronte dell'egoismo degli Stati membri che più beneficiano di questa competizione sleale.

Credo meriti una riflessione anche un altro ambito di competenza dell'autorità, forse meno noto malgrado la sua rilevanza per il buon funzionamento della nostra democrazia: quello dei conflitti di interesse.

Parto dalle considerazioni contenute nell'ultima relazione dell'Autorità al Parlamento sul conflitto di interessi, relativa al secondo semestre dello scorso anno.

In quel documento, si dà conto di alcune criticità del sistema del conflitto di interessi per incidenza patrimoniale. In particolare, si osserva come, in assenza di adeguati di strumenti coercitivi, risulta difficile assicurare una piena osservanza degli obblighi di disclosure in capo ai familiari dei titolari di carica. E l'Autorità non può dunque esercitare pienamente ed efficacemente le proprie funzioni di controllo sui singoli atti del Governo.

Ciò rafforza un'esigenza che ho ribadito anche in altre occasioni: è necessario rivedere in modo più stringente la disciplina legislativa in materia di conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo, con particolare riferimento a quella applicabile in caso di situazioni patrimoniali di particolare rilievo dell'interessato.

Mi avvio alla conclusione. È innegabile che negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scoppio della crisi economica e finanziaria, si sia registrata una perdita di fiducia dei cittadini nei benefici del mercato unico e nei meccanismi della concorrenza.

Si è anzi affermata la pericolosa tendenza a rivendicare barriere protezionistiche addirittura all'interno dell'Unione e a mettere in discussione l'esistenza stessa delle autorità di regolazione, in quanto "sottratte" per definizione alla logica maggioritaria. Queste rivendicazioni trovano origine nella obiettiva inadeguatezza della risposta alle aspettative e ai bisogni dei cittadini dimostrata dagli Stati membri e quindi dall'Unione europea. E sono alimentate dalla sfiducia diffusa nella capacità delle istituzioni di correggere le distorsioni e le iniquità del sistema economico-finanziario, che andrebbe invece orientato al servizio dell'occupazione, dell'inclusione sociale, della riduzione delle diseguaglianze.

Ciò richiama non soltanto le Istituzioni rappresentative, ma anche le autorità indipendenti ad assicurare, secondo il rispettivo ruolo e le rispettive competenze, che il funzionamento dei mercati sia coerente, in modo sostanziale con i valori costituzionali nazionali ed europei.

Vi ringrazio.