Camera dei deputati, Palazzo del Seminario, Sala del Refettorio
Intervento del Presidente all'incontro 'La testimonianza di giustizia - Contrasto alle mafie: dalla solitudine alla condivisione'
Buon pomeriggio a tutti e a tutte.
Saluto il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Nicola Morra, il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Federico Cafiero de Raho e le altre autorità presenti.
Saluto e ringrazio il sottosegretario Gaetti per avermi invitato a questo incontroche consente di fare il punto su un tema di massima importanza per il rispetto della legalità e per la lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese.
Ritengo infatti che sia un dovere fondamentale delle Istituzioni tutelare e sostenere i testimoni di giustizia: cittadini che sono stati vittime o testimoni di violenze, estorsioni, tentativi di corruzione da parte di criminali. Cittadini che non si sono sottomessi, non hanno girato le spalle o fatto finta di non vedere. Ma hanno avuto il coraggio di denunciare e di testimoniare contro i colpevoli.
Persone, dunque, che hanno fatto con rigore e sino in fondo il loro dovere di cittadini, dando un contributo prezioso, talvolta decisivo, nella lotta contro le mafie. Accettando tutti i rischi, i disagi, le sofferenze di una scelta che ha comportato spesso uno sconvolgimento delle loro vite: l'abbandono precipitoso della propria abitazione, della propria città e del lavoro; il cambio di nome, l'interruzione delle relazioni con familiari e amici.
Una traumatica ed improvvisa perdita di identità che il più delle volte ha coinvolto anche i coniugi, i partner, i figli. Mentre gli altri familiari che rimangono nella località di origine, se non adeguatamente tutelati, possono diventare oggetto di minacce, ritorsioni e di vendette della mafia, come ci raccontano molte tristi vicende.
Purtroppo - occorre ammetterlo - per molti anni lo Stato non ha saputo sostenere i testimoni di giustizia. Solo nel 2001 è stata definita una parziale ed insufficiente disciplina dei testimoni, estendendo peraltro ad essi alcune delle misure a favore dei collaboratori di giustizia introdotte nel 1991. Una estensione che ignorava la profonda differenza tra le due figure, facendo i collaboratori parte di organizzazioni criminali.
Nella specifica relazione approvata nella scorsa legislatura dalla Commissione antimafia si evidenziavano le carenze del dettato normativo e i tanti problemi della vita quotidiana dei testimoni. Voglio ricordarli brevemente: la scarsa informazione circa i diritti e i doveri connessi con l'assunzione dello status di testimone da parte degli organi istituzionali competenti; la non corrispondenza tra le condizioni di vita prospettate e quelle realizzate; sistemazioni logistiche carenti; l'inadeguatezza delle misure di protezione poste in essere a tutela dei testimoni sia in località protetta che in quella di origine; una condizione di isolamento e la mancanza di punti di riferimento e di supporto; l'inadeguatezza del sistema di reinserimento socio-lavorativo; le disparità di trattamento tra testimoni di giustizia nelle medesime condizioni; le lentezze burocratiche per l'assistenza sanitaria e per altre esigenze essenziali; difficoltà connesse all'utilizzo dei documenti di copertura e alla procedura per il cambiamento delle generalità.
Preso atto di questa situazione il Parlamento nelle ultime settimane della scorsa legislatura ha approvato all'unanimità un'apposita legge che ha finalmente definito uno statuto autonomo dei testimoni di giustizia con l'obiettivo esplicito di garantire ad essi "un'esistenza dignitosa".
Un atto dovuto ma tardivo che non esime noi - rappresentanti delle Istituzioni - dal chiedere scusa a chi per tanti anni non ha ricevuto un riconoscimento adeguato del proprio senso civico e coraggio.
La nuova legge ha previsto un insieme organico di misure di vigilanza, tutela, assistenza, sostegno economico e reinserimento sociale e lavorativo dei testimoni e delle altre persone messe in pericolo per le relazioni familiari o lavorative con essi.
Considero una delle più importanti novità della legge la previsione per cui, salvo eccezionali esigenze di sicurezza, i testimoni di giustizia possano rimanere nel luogo d'origine. Anzitutto perché si evita così che questi nostri cittadini subiscano - quale conseguenza inevitabile della propria scelta - la violenza dello sradicamento dal proprio contesto affettivo, economico e sociale. Ma anche perché chi denuncia il malaffare, chi si ribella alla intimidazione mafiosa o comunque criminale deve essere un esempio costante per tutta la comunità di riferimento. Per dimostrare a tutti i cittadini che lo Stato si prende cura di chi esercita fino in fondo i propri doveri civici. Che mantiene gli impegni assunti.
Sono quindi molto contento che oggi si procederà alla firma di un protocollo d'intesa finalizzato al sostegno di iniziative imprenditoriali da parte dei testimoni di giustizia tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Invitalia.
È apprezzabile, in particolare, che il protocollo preveda il sostegno alla ripresa, allo sviluppo o alla riconversione delle attività imprenditoriali che i soggetti tutelati hanno dovuto sospendere a causa dell'ingresso nel programma di protezione, nonché il supporto per il lancio di nuove iniziative.
Ciò - lo ribadisco - non aiuta soltanto il testimone nella sua vita quotidiana ma ne rafforza anche il ruolo di esempio per i concittadini. Crea un incentivo per tutti a rifiutare la violenza criminale, attraverso un esempio concreto di sviluppo economico, individuale e della comunità alternativo alle promesse di facile guadagno e alle intimidazioni.
Insisto su questo aspetto perché considero i testimoni non soltanto uno strumento cruciale per l'azione repressiva ma anche e soprattutto come un fattore decisivo di quel cambiamento culturale senza il quale non è possibile sconfiggere il crimine organizzato.
Per questo auspico che tutte le misure della legge del 2018 possano ricevere un'applicazione piena ed effettiva. E sono certo che gli organi parlamentari competenti - in particolare la Commissione Antimafia presieduta dal senatore Morra qui presente - eserciteranno il proprio ruolo di vigilanza e di indirizzo in questo ambito. Proponendo se necessario anche ulteriori interventi legislativi.
Mi avvio alla conclusione con una considerazione che nasce dalla lettura dei dati più recenti relativi al numero dei testimoni di giustizia. Mi ha molto colpito che i testimoni - che avevano superato tra il 2011 e il 2014 le 80 unità - si siano progressivamente ridotti, attestandosi, a fine 2018, ad appena 51 unità.
Questa riduzione è stata interpretata, anche in analisi ufficiali, quale indice della inefficacia della legislazione previgente alla legge del 2018. In sostanza, è un sintomo della sfiducia nei confronti dello Stato di potenziali testimoni di giustizia.
Mi auguro che, grazie all'impegno di tutte le Istituzioni competenti, si recuperi questo rapporto fiduciario indispensabile nella lotta alla criminalità che deve vederci tutti uniti e compatti.
È fondamentale sostenere chi con coraggio denuncia e testimonia: sono persone che devono sentirsi supportate, tutelate e non abbandonate, altrimenti la nostra battaglia per la legalità, contro la mafia, il terrorismo e la criminalità organizzata non potrà essere vinta.
Voglio infine ringraziare il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra per il lavoro che sta portando avanti sulle desecretazioni e che ci ha permesso oggi di ascoltare le parole che Paolo Borsellino pronunciò nel 1984, in una delle sue audizioni davanti alla Commissione. Sono pubbliche sia le trascrizioni che gli audio finora custoditi negli archivi della bicamerale e adesso digitalizzati. Un'iniziativa che si pone nel solco del percorso che la Camera ha tracciato negli anni sul tema delle declassificazioni.
Intervento del Presidente all'incontro 'La testimonianza di giustizia - Contrasto alle mafie: dalla solitudine alla condivisione'
Buon pomeriggio a tutti e a tutte.
Saluto il Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Nicola Morra, il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Federico Cafiero de Raho e le altre autorità presenti.
Saluto e ringrazio il sottosegretario Gaetti per avermi invitato a questo incontroche consente di fare il punto su un tema di massima importanza per il rispetto della legalità e per la lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese.
Ritengo infatti che sia un dovere fondamentale delle Istituzioni tutelare e sostenere i testimoni di giustizia: cittadini che sono stati vittime o testimoni di violenze, estorsioni, tentativi di corruzione da parte di criminali. Cittadini che non si sono sottomessi, non hanno girato le spalle o fatto finta di non vedere. Ma hanno avuto il coraggio di denunciare e di testimoniare contro i colpevoli.
Persone, dunque, che hanno fatto con rigore e sino in fondo il loro dovere di cittadini, dando un contributo prezioso, talvolta decisivo, nella lotta contro le mafie. Accettando tutti i rischi, i disagi, le sofferenze di una scelta che ha comportato spesso uno sconvolgimento delle loro vite: l'abbandono precipitoso della propria abitazione, della propria città e del lavoro; il cambio di nome, l'interruzione delle relazioni con familiari e amici.
Una traumatica ed improvvisa perdita di identità che il più delle volte ha coinvolto anche i coniugi, i partner, i figli. Mentre gli altri familiari che rimangono nella località di origine, se non adeguatamente tutelati, possono diventare oggetto di minacce, ritorsioni e di vendette della mafia, come ci raccontano molte tristi vicende.
Purtroppo - occorre ammetterlo - per molti anni lo Stato non ha saputo sostenere i testimoni di giustizia. Solo nel 2001 è stata definita una parziale ed insufficiente disciplina dei testimoni, estendendo peraltro ad essi alcune delle misure a favore dei collaboratori di giustizia introdotte nel 1991. Una estensione che ignorava la profonda differenza tra le due figure, facendo i collaboratori parte di organizzazioni criminali.
Nella specifica relazione approvata nella scorsa legislatura dalla Commissione antimafia si evidenziavano le carenze del dettato normativo e i tanti problemi della vita quotidiana dei testimoni. Voglio ricordarli brevemente: la scarsa informazione circa i diritti e i doveri connessi con l'assunzione dello status di testimone da parte degli organi istituzionali competenti; la non corrispondenza tra le condizioni di vita prospettate e quelle realizzate; sistemazioni logistiche carenti; l'inadeguatezza delle misure di protezione poste in essere a tutela dei testimoni sia in località protetta che in quella di origine; una condizione di isolamento e la mancanza di punti di riferimento e di supporto; l'inadeguatezza del sistema di reinserimento socio-lavorativo; le disparità di trattamento tra testimoni di giustizia nelle medesime condizioni; le lentezze burocratiche per l'assistenza sanitaria e per altre esigenze essenziali; difficoltà connesse all'utilizzo dei documenti di copertura e alla procedura per il cambiamento delle generalità.
Preso atto di questa situazione il Parlamento nelle ultime settimane della scorsa legislatura ha approvato all'unanimità un'apposita legge che ha finalmente definito uno statuto autonomo dei testimoni di giustizia con l'obiettivo esplicito di garantire ad essi "un'esistenza dignitosa".
Un atto dovuto ma tardivo che non esime noi - rappresentanti delle Istituzioni - dal chiedere scusa a chi per tanti anni non ha ricevuto un riconoscimento adeguato del proprio senso civico e coraggio.
La nuova legge ha previsto un insieme organico di misure di vigilanza, tutela, assistenza, sostegno economico e reinserimento sociale e lavorativo dei testimoni e delle altre persone messe in pericolo per le relazioni familiari o lavorative con essi.
Considero una delle più importanti novità della legge la previsione per cui, salvo eccezionali esigenze di sicurezza, i testimoni di giustizia possano rimanere nel luogo d'origine. Anzitutto perché si evita così che questi nostri cittadini subiscano - quale conseguenza inevitabile della propria scelta - la violenza dello sradicamento dal proprio contesto affettivo, economico e sociale. Ma anche perché chi denuncia il malaffare, chi si ribella alla intimidazione mafiosa o comunque criminale deve essere un esempio costante per tutta la comunità di riferimento. Per dimostrare a tutti i cittadini che lo Stato si prende cura di chi esercita fino in fondo i propri doveri civici. Che mantiene gli impegni assunti.
Sono quindi molto contento che oggi si procederà alla firma di un protocollo d'intesa finalizzato al sostegno di iniziative imprenditoriali da parte dei testimoni di giustizia tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Invitalia.
È apprezzabile, in particolare, che il protocollo preveda il sostegno alla ripresa, allo sviluppo o alla riconversione delle attività imprenditoriali che i soggetti tutelati hanno dovuto sospendere a causa dell'ingresso nel programma di protezione, nonché il supporto per il lancio di nuove iniziative.
Ciò - lo ribadisco - non aiuta soltanto il testimone nella sua vita quotidiana ma ne rafforza anche il ruolo di esempio per i concittadini. Crea un incentivo per tutti a rifiutare la violenza criminale, attraverso un esempio concreto di sviluppo economico, individuale e della comunità alternativo alle promesse di facile guadagno e alle intimidazioni.
Insisto su questo aspetto perché considero i testimoni non soltanto uno strumento cruciale per l'azione repressiva ma anche e soprattutto come un fattore decisivo di quel cambiamento culturale senza il quale non è possibile sconfiggere il crimine organizzato.
Per questo auspico che tutte le misure della legge del 2018 possano ricevere un'applicazione piena ed effettiva. E sono certo che gli organi parlamentari competenti - in particolare la Commissione Antimafia presieduta dal senatore Morra qui presente - eserciteranno il proprio ruolo di vigilanza e di indirizzo in questo ambito. Proponendo se necessario anche ulteriori interventi legislativi.
Mi avvio alla conclusione con una considerazione che nasce dalla lettura dei dati più recenti relativi al numero dei testimoni di giustizia. Mi ha molto colpito che i testimoni - che avevano superato tra il 2011 e il 2014 le 80 unità - si siano progressivamente ridotti, attestandosi, a fine 2018, ad appena 51 unità.
Questa riduzione è stata interpretata, anche in analisi ufficiali, quale indice della inefficacia della legislazione previgente alla legge del 2018. In sostanza, è un sintomo della sfiducia nei confronti dello Stato di potenziali testimoni di giustizia.
Mi auguro che, grazie all'impegno di tutte le Istituzioni competenti, si recuperi questo rapporto fiduciario indispensabile nella lotta alla criminalità che deve vederci tutti uniti e compatti.
È fondamentale sostenere chi con coraggio denuncia e testimonia: sono persone che devono sentirsi supportate, tutelate e non abbandonate, altrimenti la nostra battaglia per la legalità, contro la mafia, il terrorismo e la criminalità organizzata non potrà essere vinta.
Voglio infine ringraziare il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra per il lavoro che sta portando avanti sulle desecretazioni e che ci ha permesso oggi di ascoltare le parole che Paolo Borsellino pronunciò nel 1984, in una delle sue audizioni davanti alla Commissione. Sono pubbliche sia le trascrizioni che gli audio finora custoditi negli archivi della bicamerale e adesso digitalizzati. Un'iniziativa che si pone nel solco del percorso che la Camera ha tracciato negli anni sul tema delle declassificazioni.
Vi ringrazio.