19/09/2020
Agrigento, Palazzo di Giustizia

Intervento del Presidente all'iniziativa per il XXX anniversario dell'omicidio del giudice Rosario Livatino

Buongiorno a tutte e a tutti,

Rivolgo un saluto a tutte le Autorità presenti.

È per me un grande onore - come Presidente della Camera e come cittadino italiano - partecipare oggi a questa iniziativa in ricordo del giudice Rosario Livatino ucciso trent'anni fa dalla 'Stidda' agrigentina.

Quell'omicidio - che segnò profondamente la mia coscienza di studente liceale e di tanti miei coetanei e coetanee - destò uno sgomento e una commozione profonda e diffusa in tutto il Paese.

Livatino era un magistrato giovane, coraggioso e determinato. Era noto per il suo carattere discreto e riservato, che si combinava con una straordinaria passione civile, con una grande competenza e forte motivazione.

Nel corso del suo impegno in magistratura, Livatino si era occupato di complesse indagini sulla mafia e su quella che negli anni Novanta sarebbe diventata nota come la "Tangentopoli siciliana".

Il suo assassinio fu l'ennesimo tassello, in una lunga e tragica sequela di omicidi, che la mano mafiosa inseriva nel suo perverso disegno di annientamento dei servitori dello Stato fedeli alla Costituzione e alla logica della legalità.

Ricordare oggi Rosario Livatino significa dunque esprimere da parte delle istituzioni e di tutto il Paese un doveroso omaggio, sincero e sentito, nei confronti di un magistrato, di un cittadino, che ha pagato con la vita il suo impegno nel combattere la criminalità organizzata.

Ma è anche l'occasione per ribadire la nostra volontà - come comunità nazionale - di mantenere viva, e praticare, quella cultura della legalità che uomini come Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno indicato quale riferimento ideale imprescindibile.

Di fronte a questa responsabilità nessuno di noi può volgere lo sguardo dall'altra parte: non le istituzioni, non la politica, e neanche i singoli cittadini.

Il contrasto alla criminalità organizzata ha portato sicuramente a risultati concreti e molto importanti sul piano investigativo e giudiziario, grazie all'impegno costante di magistratura e forze dell'ordine.

Anche il Parlamento ha fatto la sua parte adeguando il quadro legislativo, con diversi interventi anche in questa legislatura.

Ma al tempo stesso sappiamo che la criminalità organizzata ha notevolmente ampliato la sua dimensione economica e relazionale, la sua capacità camaleontica di controllare settori vitali della società, di accaparrarsi spazi lasciati vacanti dallo Stato.

Per questo è necessario che l'attenzione, da parte di tutti, sia ancora più alta, soprattutto in una fase così piena di criticità come quella che stiamo vivendo per effetto del Covid.

C'è anzitutto il rischio, denunciato dalla Ministra dell'interno Lamorgese e da autorevoli rappresentanti della magistratura e delle forze dell'ordine, che le mafie approfittino delle gravi difficoltà di ampie fasce della popolazione e del sistema produttivo per rafforzarsi ulteriormente. Diseguaglianze, degrado, marginalità ed esclusione sociale sono uno dei terreni di coltura che consentono alle mafie di penetrare stabilmente nel tessuto economico e sociale.

Così come è evidente - lo ha denunciato qualche giorno fa l'Europol- che la criminalità organizzata considera una grande opportunità di arricchimento lo stanziamento senza precedenti di risorse nell'ambito del Piano per la ripresa dell'Unione europea.

In questa prospettiva, un ulteriore elemento di preoccupazione discende dai dati forniti da ISTAT, SVIMEZ e altri soggetti che rilevano come l'impatto, soprattutto occupazionale, della pandemia, sia stato particolarmente profondo nel Mezzogiorno.

L'impegno primario della politica e delle istituzioni deve pertanto essere quello di stare al fianco dei cittadini che, soprattutto, non devono sentirsi abbandonati ma sostenuti in un percorso di rilancio del Paese che riduca i divari sociali e territoriali e che non lasci nessuno indietro. Lo Stato deve arrivare prima, con risposte e misure adeguate a rispondere ai bisogni della collettività. E per farlo servono lucidità, programmazione e visione. Solo così metteremo in campo progetti credibili per ridisegnare l'Italia dei prossimi vent'anni, sbarrando la strada alle mafie.

La mafia si combatte certamente con le buone leggi, con giudici capaci e con il contributo essenziale delle forze dell'ordine; ma questo può non bastare se non vi è, da parte di tutta la comunità, un'assunzione di responsabilità e una presa di coscienza.

Occorre fermamente rifiutare un universo di valori rovesciato e affermare, nei comportamenti e nelle scelte quotidiane, una cultura nuova, radicata su un senso etico forte, che rifiuti senza compromessi il malaffare, il clientelismo, l'economia malata, la politica che contraddice sé stessa, riducendosi a gestione di interessi e ad affarismo.

Ricordare Rosario Livatino significa dunque sollecitare tutta la comunità nazionale a fare fronte comune e gettare le basi per un futuro non più gravato da ipoteche mafiose.

E significa rafforzare la determinazione - che continua ad animare tanti magistrati e esponenti delle forze dell'ordine in prima linea contro la criminalità organizzata - a voler fare a tutti i costi il proprio dovere e a dare un senso pieno, nobile, costituzionale, al proprio ruolo.

"Il giudice - diceva Livatino - oltre che essere, deve anche apparire indipendente. È importante che egli offra di sé stesso l'immagine non di persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di persona seria, di persona equilibrata, di persona responsabile; e, potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Soltanto se il giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare ch'egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha".

In queste parole si riconoscono tutte le coordinate basilari del ruolo istituzionale che la Costituzione ha affidato all'ordine giudiziario e su come, quel ruolo, debba essere interpretato.

È la lezione, immensa ed indimenticabile, del "giudice ragazzino".

Vi ringrazio.