Camera dei deputati, Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari
Intervento del Presidente al convegno '1981-2021 di HIV: quarant'anni nella storia'
Buongiorno a tutti e a tutte,
Saluto le autorità, i colleghi deputati e tutti i relatori.
Ringrazio vivamente il vicepresidente Mandelli per aver promosso l'iniziativa odierna, in vista della Giornata Mondiale contro l'AIDS.
La ricorrenza assume quest'anno un particolare valore per due ragioni che rendono quanto mai opportuno fare il punto sulla diffusione dell'epidemia nel nostro Paese e in tutto il pianeta, su quanto è stato fatto sinora e su quanto resta da fare per contrastarla.
La prima ragione risiede nel fatto che sono trascorsi quarant'anni dalla segnalazione dei primi casi di Aids. Quattro decenni in cui l'epidemia ha prodotto non soltanto gravi conseguenze sul piano strettamente sanitario ma anche su quello sociale, dando forma a pregiudizi e a vere e proprie forme di discriminazione di determinate categorie di persone.
In secondo luogo, la diffusione del COVID ha fatto emergere drammaticamente lacune e debolezze nei sistemi di prevenzione e cura che hanno rallentato negli anni passati la lotta alle infezioni pandemiche come HIV, tubercolosi, epatiti virali, malaria. Ha inoltre inciso negativamente in molti Paesi sulla diagnosi e i trattamenti terapeutici per i malati di AIDS. Ed ha dimostrato quanto sia importante ed urgente rafforzare i sistemi sanitari e migliorare la cooperazione internazionale in materia.
La progressione dell'epidemia di HIV e la sua mortalità, come l'allarme sociale da essa generato, hanno certamente subito un significativo rallentamento nel corso degli anni grazie ai progressi che sono stati realizzati in termini di informazione, prevenzione, ricerca e trattamenti terapeutici. I numeri delle persone che si contagiano ogni anno restano però alti: sono un milione e mezzo nel mondo.
In Italia l'incidenza dell'Hiv è in diminuzione costante dal 2012. Nel 2020, siamo scesi a 1.303 nuove diagnosi di infezione, pari a 2,2 nuovi casi per 100.000 persone, dato quest'ultimo nettamente inferiore alla media UE.
Questi progressi non possono tuttavia in alcun modo giustificare il calo nell'attenzione pubblica ed in particolare politica su questa gravissima epidemia.
Il numero di contagi e morti, per quanto in calo costante, resta elevato e riguarda in gran parte aree del mondo e fasce della popolazione più fragili. Il 67% delle persone affette da HIV vive nell'Africa sub sahariana.
Preoccupante è poi la mancata realizzazione di alcuni importanti obiettivi che erano stati posti dalle Nazioni Unite per il 2020. Mi limito a ricordare che, tra le altre cose, non si è riusciti a portare sotto le 500mila unità le nuove infezioni e le morti e a garantire al 90% delle persone con HIV l'accesso alle terapie antiretrovirali, da cui restano oggi esclusi 12 dei 37 milioni di persone malate.
Analogamente, non è stato raggiunto l'obiettivo di assicurare l'accesso a servizi e percorsi di prevenzione al 90% dei ragazzi e delle fasce più vulnerabili al rischio HIV, come chi fa uso di droghe o lavora nel settore della prostituzione.
Siamo dunque in ritardo nella lotta all'AIDS non a causa della mancanza di conoscenze scientifiche o cure, ma a causa delle disuguaglianze geografiche e sociali che impediscono l'applicazione di soluzioni di comprovata efficacia per la prevenzione e il trattamento dell'HIV.
Occorre dunque evitare - questo è il senso primario della Giornata odierna - di abbassare la guardia sia nei comportamenti individuali che nell'impegno delle Istituzioni, a livello nazionale ed internazionale, per prevenire e contrastare l'epidemia.
Dobbiamo adoperarci tutti per conseguire i prossimi obiettivi fissati a livello internazionale, a partire da quello - posto dalle Nazioni Unite nell'ambito dell'Agenda 2030 - di debellare completamente la malattia entro la fine di questo decennio.
La priorità è garantire l'accesso ai servizi e ai trattamenti salvavita disponibili, ormai da oltre vent'anni, nei Paesi avanzati anche a tutto il resto del mondo.
La lotta contro l'AIDS potrà essere vinta soltanto se nessuno, in tutto il pianeta, resterà escluso dall'accesso ai programmi di informazione e prevenzione, da una diagnosi tempestiva, dalle cure più avanzate. Dobbiamo dunque impegnarci ad aumentare le risorse pubbliche e private destinate a questa battaglia nei Paesi a basso e medio reddito.
Occorre porre concretamente la dignità delle persone al centro delle strategie sanitarie, combattendo disuguaglianze, pregiudizi, ignoranza e discriminazioni.
E su questo c'è molto da fare ovunque, non solamente nei Paesi più poveri. Lo stigma sociale che tocca le persone sieropositive resta un elemento su cui lavorare dal punto di vista culturale. Parlare di Aids significa anche sfatare dei tabù, combattere la disinformazione e aiutare tutte le persone sieropositive.
Per far questo credo serva anche ribadire l'importanza della prevenzione e dei test, che sono uno strumento utile forse ancora troppo poco diffuso pure nel nostro Paese.
Meritano poi un plauso le associazioni per il prezioso lavoro che svolgono. Sono però convinto che il Parlamento possa e debba aver un ruolo centrale in questo contesto, anzitutto valutando l'adozione di tutti gli interventi legislativi e non legislativi necessari per garantire nel nostro Paese, in coerenza con gli obiettivi fissati a livello internazionale, le attività di ricerca, prevenzione, informazione, cura e la sorveglianza epidemiologica.
La Commissione affari sociali sta, al riguardo, esaminando una proposta di legge volta a rivedere il quadro normativo esistente.
In secondo luogo, le Camere possono contribuire affinché il nostro Paese continui a svolgere un ruolo di primo piano nel promuovere il raggiungimento degli obiettivi concordati a livello internazionale che ho sopra richiamato.
Sono certo, cari colleghi, che sapremo tutti, senza distinzione di bandiera politica, muoverci in questa direzione.
Intervento del Presidente al convegno '1981-2021 di HIV: quarant'anni nella storia'
Buongiorno a tutti e a tutte,
Saluto le autorità, i colleghi deputati e tutti i relatori.
Ringrazio vivamente il vicepresidente Mandelli per aver promosso l'iniziativa odierna, in vista della Giornata Mondiale contro l'AIDS.
La ricorrenza assume quest'anno un particolare valore per due ragioni che rendono quanto mai opportuno fare il punto sulla diffusione dell'epidemia nel nostro Paese e in tutto il pianeta, su quanto è stato fatto sinora e su quanto resta da fare per contrastarla.
La prima ragione risiede nel fatto che sono trascorsi quarant'anni dalla segnalazione dei primi casi di Aids. Quattro decenni in cui l'epidemia ha prodotto non soltanto gravi conseguenze sul piano strettamente sanitario ma anche su quello sociale, dando forma a pregiudizi e a vere e proprie forme di discriminazione di determinate categorie di persone.
In secondo luogo, la diffusione del COVID ha fatto emergere drammaticamente lacune e debolezze nei sistemi di prevenzione e cura che hanno rallentato negli anni passati la lotta alle infezioni pandemiche come HIV, tubercolosi, epatiti virali, malaria. Ha inoltre inciso negativamente in molti Paesi sulla diagnosi e i trattamenti terapeutici per i malati di AIDS. Ed ha dimostrato quanto sia importante ed urgente rafforzare i sistemi sanitari e migliorare la cooperazione internazionale in materia.
La progressione dell'epidemia di HIV e la sua mortalità, come l'allarme sociale da essa generato, hanno certamente subito un significativo rallentamento nel corso degli anni grazie ai progressi che sono stati realizzati in termini di informazione, prevenzione, ricerca e trattamenti terapeutici. I numeri delle persone che si contagiano ogni anno restano però alti: sono un milione e mezzo nel mondo.
In Italia l'incidenza dell'Hiv è in diminuzione costante dal 2012. Nel 2020, siamo scesi a 1.303 nuove diagnosi di infezione, pari a 2,2 nuovi casi per 100.000 persone, dato quest'ultimo nettamente inferiore alla media UE.
Questi progressi non possono tuttavia in alcun modo giustificare il calo nell'attenzione pubblica ed in particolare politica su questa gravissima epidemia.
Il numero di contagi e morti, per quanto in calo costante, resta elevato e riguarda in gran parte aree del mondo e fasce della popolazione più fragili. Il 67% delle persone affette da HIV vive nell'Africa sub sahariana.
Preoccupante è poi la mancata realizzazione di alcuni importanti obiettivi che erano stati posti dalle Nazioni Unite per il 2020. Mi limito a ricordare che, tra le altre cose, non si è riusciti a portare sotto le 500mila unità le nuove infezioni e le morti e a garantire al 90% delle persone con HIV l'accesso alle terapie antiretrovirali, da cui restano oggi esclusi 12 dei 37 milioni di persone malate.
Analogamente, non è stato raggiunto l'obiettivo di assicurare l'accesso a servizi e percorsi di prevenzione al 90% dei ragazzi e delle fasce più vulnerabili al rischio HIV, come chi fa uso di droghe o lavora nel settore della prostituzione.
Siamo dunque in ritardo nella lotta all'AIDS non a causa della mancanza di conoscenze scientifiche o cure, ma a causa delle disuguaglianze geografiche e sociali che impediscono l'applicazione di soluzioni di comprovata efficacia per la prevenzione e il trattamento dell'HIV.
Occorre dunque evitare - questo è il senso primario della Giornata odierna - di abbassare la guardia sia nei comportamenti individuali che nell'impegno delle Istituzioni, a livello nazionale ed internazionale, per prevenire e contrastare l'epidemia.
Dobbiamo adoperarci tutti per conseguire i prossimi obiettivi fissati a livello internazionale, a partire da quello - posto dalle Nazioni Unite nell'ambito dell'Agenda 2030 - di debellare completamente la malattia entro la fine di questo decennio.
La priorità è garantire l'accesso ai servizi e ai trattamenti salvavita disponibili, ormai da oltre vent'anni, nei Paesi avanzati anche a tutto il resto del mondo.
La lotta contro l'AIDS potrà essere vinta soltanto se nessuno, in tutto il pianeta, resterà escluso dall'accesso ai programmi di informazione e prevenzione, da una diagnosi tempestiva, dalle cure più avanzate. Dobbiamo dunque impegnarci ad aumentare le risorse pubbliche e private destinate a questa battaglia nei Paesi a basso e medio reddito.
Occorre porre concretamente la dignità delle persone al centro delle strategie sanitarie, combattendo disuguaglianze, pregiudizi, ignoranza e discriminazioni.
E su questo c'è molto da fare ovunque, non solamente nei Paesi più poveri. Lo stigma sociale che tocca le persone sieropositive resta un elemento su cui lavorare dal punto di vista culturale. Parlare di Aids significa anche sfatare dei tabù, combattere la disinformazione e aiutare tutte le persone sieropositive.
Per far questo credo serva anche ribadire l'importanza della prevenzione e dei test, che sono uno strumento utile forse ancora troppo poco diffuso pure nel nostro Paese.
Meritano poi un plauso le associazioni per il prezioso lavoro che svolgono. Sono però convinto che il Parlamento possa e debba aver un ruolo centrale in questo contesto, anzitutto valutando l'adozione di tutti gli interventi legislativi e non legislativi necessari per garantire nel nostro Paese, in coerenza con gli obiettivi fissati a livello internazionale, le attività di ricerca, prevenzione, informazione, cura e la sorveglianza epidemiologica.
La Commissione affari sociali sta, al riguardo, esaminando una proposta di legge volta a rivedere il quadro normativo esistente.
In secondo luogo, le Camere possono contribuire affinché il nostro Paese continui a svolgere un ruolo di primo piano nel promuovere il raggiungimento degli obiettivi concordati a livello internazionale che ho sopra richiamato.
Sono certo, cari colleghi, che sapremo tutti, senza distinzione di bandiera politica, muoverci in questa direzione.
Vi ringrazio.