Saluto il Ministro Fioramonti, i rappresentanti di imprese, sindacati e associazioni di categoria, e le autorità presenti.
L'iniziativa di oggi punta l'obiettivo su quello che considero un passaggio cruciale per il futuro del nostro Paese: un Patto per rafforzare la collaborazione tra università, istituzioni, enti pubblici di ricerca, istituzioni dell'alta formazione creativa, imprese e mondo del lavoro con l'obiettivo di rilanciare l'economia italiana in chiave sostenibile.
Un passaggio decisivo perché è inteso a sfruttare le potenzialità della innovazione scientifica e tecnologica per operare un ripensamento radicale dell'attuale modello di produzione e consumo con conseguenze rilevanti nei vari ambiti della società.
Si tratta di in sostanza guidare il cambiamento tecnologico anziché subirlo e trarne vantaggi per l'intero Paese, per tutti i cittadini.
I promotori del Patto dicono giustamente che dobbiamo passare da un modello industriale 'pesante' ad un modello industriale 'pensante'.
Un approccio che io credo debba coinvolgere il Paese in tutte le sue articolazioni, ponendo le Istituzioni, le imprese, la collettività nelle condizioni di definire e di attuare - sulla base della conoscenza e degli strumenti offerti dalla ricerca - una visione lungimirante di economia e società.
E può consentirci quindi di superare un difetto che ha spesso caratterizzato in senso negativo l'azione pubblica come le strategie imprenditoriali: la visione a breve termine.
La ricerca - pubblica e privata - è dunque lo strumento per consentire al nostro Paese di competere sui mercati internazionali in base alla qualità e alla originalità dei nostri prodotti e servizi e non abbassando il costo del lavoro e le tutele sociali. Per elevare i livelli di istruzione e formazione. Per creare una occupazione di qualità e durevole. Per ammodernare le infrastrutture materiali e immateriali.
E ciò significa, in concreto, avviare la riconversione sostenibile del nostro tessuto industriale. Significa passare da fonti di energia fossili ad un'energia pulita, rinnovabile e a basso costo, da un'economia lineare a un'economia circolare.
Inoltre il Patto siglato oggi può fornire gli strumenti per realizzare il collegamento tra il mondo della ricerca e i territori di riferimento.
Gli enti locali - ma anche realtà sociali, economiche e produttive - dialogando in modo strutturato con le università e gli altri attori della ricerca, possono infatti definire soluzioni adeguate alle sfide che devono affrontare: la mobilità e i trasporti intelligenti, la rigenerazione urbana, il trattamento dei rifiuti, la gestione degli spazi pubblici e dei beni comuni, la costruzione di edifici pubblici e privati in modo efficiente e sostenibile, la sicurezza.
La ricerca può sostenere, in particolare, la trasformazione delle nostre città in smart cities; può contribuire a realizzare piattaforme per attuare forme sempre più avanzate di democrazia partecipativa e diretta. È decisiva per valorizzare le competenze, i saperi e le specificità di ciascun territorio.
Il Patto può dunque essere la via per inserire stabilmente la ricerca tra le priorità della agenda politica del nostro Paese, superando un ritardo molto grave che è dimostrato da numerosi indicatori.
Sappiamo tutti che l'Unione europea aveva fissato già nel 2000 e ribadito nel 2010 l'obiettivo di portare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo al 3% del PIL entro il 2020. Ma, secondo i dati OCSE relativi al 2017, siamo ad appena il 2,03% nell'Unione europea e all'1,38% in Italia.
Considero inoltre molto preoccupanti anche i divari territoriali all'interno del nostro Paese: oltre i due terzi della spesa totale per ricerca e sviluppo è concentrato in appena cinque regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto). C'è dunque un ritardo ancor più marcato nel Mezzogiorno che va recuperato se vogliamo rilanciare questa parte del Paese.
Se vogliamo cogliere e diffondere i benefici della innovazione, occorre dunque migliorare anche la misura e la qualità della spesa per l'istruzione, a tutti i livelli.
E ricordo soprattutto che le risoluzioni approvate da Camera e Senato sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2019 impegnano espressamente il Governo a provvedere con la prossima legge di bilancio "al sostegno e alla qualificazione del sistema di istruzione, formazione, alta formazione, università, ricerca, innovazione".
E' quanto mai necessario che la sessione di bilancio - che si aprirà tra qualche giorno - sia l'occasione per dare concreta attuazione a questi impegni: investendo in modo poderoso su quello che è un asset strategico: istruzione, formazione e ricerca. Abbiamo il dovere di lavorare tutti insieme concorrendo, insieme al Patto, alla transizione verso un nuovo modello di economia e società, basato sulla conoscenza e sulla sostenibilità.
Partecipazione al convegno ‘Patto per la Ricerca’
Buongiorno a tutti e a tutte,
Saluto il Ministro Fioramonti, i rappresentanti di imprese, sindacati e associazioni di categoria, e le autorità presenti.
L'iniziativa di oggi punta l'obiettivo su quello che considero un passaggio cruciale per il futuro del nostro Paese: un Patto per rafforzare la collaborazione tra università, istituzioni, enti pubblici di ricerca, istituzioni dell'alta formazione creativa, imprese e mondo del lavoro con l'obiettivo di rilanciare l'economia italiana in chiave sostenibile.
Un passaggio decisivo perché è inteso a sfruttare le potenzialità della innovazione scientifica e tecnologica per operare un ripensamento radicale dell'attuale modello di produzione e consumo con conseguenze rilevanti nei vari ambiti della società.
Si tratta di in sostanza guidare il cambiamento tecnologico anziché subirlo e trarne vantaggi per l'intero Paese, per tutti i cittadini.
I promotori del Patto dicono giustamente che dobbiamo passare da un modello industriale 'pesante' ad un modello industriale 'pensante'.
Un approccio che io credo debba coinvolgere il Paese in tutte le sue articolazioni, ponendo le Istituzioni, le imprese, la collettività nelle condizioni di definire e di attuare - sulla base della conoscenza e degli strumenti offerti dalla ricerca - una visione lungimirante di economia e società.
E può consentirci quindi di superare un difetto che ha spesso caratterizzato in senso negativo l'azione pubblica come le strategie imprenditoriali: la visione a breve termine.
La ricerca - pubblica e privata - è dunque lo strumento per consentire al nostro Paese di competere sui mercati internazionali in base alla qualità e alla originalità dei nostri prodotti e servizi e non abbassando il costo del lavoro e le tutele sociali. Per elevare i livelli di istruzione e formazione. Per creare una occupazione di qualità e durevole. Per ammodernare le infrastrutture materiali e immateriali.
E ciò significa, in concreto, avviare la riconversione sostenibile del nostro tessuto industriale. Significa passare da fonti di energia fossili ad un'energia pulita, rinnovabile e a basso costo, da un'economia lineare a un'economia circolare.
Inoltre il Patto siglato oggi può fornire gli strumenti per realizzare il collegamento tra il mondo della ricerca e i territori di riferimento.
Gli enti locali - ma anche realtà sociali, economiche e produttive - dialogando in modo strutturato con le università e gli altri attori della ricerca, possono infatti definire soluzioni adeguate alle sfide che devono affrontare: la mobilità e i trasporti intelligenti, la rigenerazione urbana, il trattamento dei rifiuti, la gestione degli spazi pubblici e dei beni comuni, la costruzione di edifici pubblici e privati in modo efficiente e sostenibile, la sicurezza.
La ricerca può sostenere, in particolare, la trasformazione delle nostre città in smart cities; può contribuire a realizzare piattaforme per attuare forme sempre più avanzate di democrazia partecipativa e diretta. È decisiva per valorizzare le competenze, i saperi e le specificità di ciascun territorio.
Il Patto può dunque essere la via per inserire stabilmente la ricerca tra le priorità della agenda politica del nostro Paese, superando un ritardo molto grave che è dimostrato da numerosi indicatori.
Sappiamo tutti che l'Unione europea aveva fissato già nel 2000 e ribadito nel 2010 l'obiettivo di portare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo al 3% del PIL entro il 2020. Ma, secondo i dati OCSE relativi al 2017, siamo ad appena il 2,03% nell'Unione europea e all'1,38% in Italia.
Considero inoltre molto preoccupanti anche i divari territoriali all'interno del nostro Paese: oltre i due terzi della spesa totale per ricerca e sviluppo è concentrato in appena cinque regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto). C'è dunque un ritardo ancor più marcato nel Mezzogiorno che va recuperato se vogliamo rilanciare questa parte del Paese.
Se vogliamo cogliere e diffondere i benefici della innovazione, occorre dunque migliorare anche la misura e la qualità della spesa per l'istruzione, a tutti i livelli.
E ricordo soprattutto che le risoluzioni approvate da Camera e Senato sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2019 impegnano espressamente il Governo a provvedere con la prossima legge di bilancio "al sostegno e alla qualificazione del sistema di istruzione, formazione, alta formazione, università, ricerca, innovazione".
E' quanto mai necessario che la sessione di bilancio - che si aprirà tra qualche giorno - sia l'occasione per dare concreta attuazione a questi impegni: investendo in modo poderoso su quello che è un asset strategico: istruzione, formazione e ricerca. Abbiamo il dovere di lavorare tutti insieme concorrendo, insieme al Patto, alla transizione verso un nuovo modello di economia e società, basato sulla conoscenza e sulla sostenibilità.
Vi ringrazio.