25/09/2020
Napoli, Palazzo Serra di Cassano

Intervento del Presidente al convegno 'Verso la conferenza nazionale per la salute mentale'

Buongiorno a tutte e a tutti,

Saluto il Presidente Casavola, il Presidente Massimiliano Marotta e tutti i relatori e le autorità presenti.

Vi ringrazio per avermi invitato a prendere parte a questa conferenza per discutere di un tema delicato e cruciale per le nostre comunità.

Dalla tutela delle persone affette da disabilità o sofferenza mentale si misura infatti il grado di attuazione nel nostro Paese dei principi fondamentali della Costituzione e delle Convenzioni e dichiarazioni adottate in sede di organizzazioni internazionali. E si misura dunque la maturità della nostra democrazia, la sua capacità di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di tutti i suoi cittadini.

Ciò è tanto più vero in questa fase, alla luce del fortissimo impatto che la pandemia ha prodotto su chi è affetto dalle varie forme di disturbi mentali.

Per un verso, si è registrata la riduzione delle attività dei centri di salute mentale, la sospensione delle attività riabilitative, la limitazione del sostegno relazionale a contatti da remoto. Peraltro verso, chi vive in strutture residenziali è stato privato per lunghe settimane della possibilità di incontrare i propri familiari e spesso costretto all'isolamento forzato.

Problemi che riguardano oltre 800.000 persone in cura per disturbi mentali e circa 2 milioni di familiari che le seguono.

Peraltro, non sono stati ancora quantificati gli effetti della sofferenza mentale prodotta - soprattutto sulle persone già caratterizzate da situazione di fragilità - dal periodo di "confinamento" in casa e riduzione dei rapporti sociali cui tutti siamo stati sottoposti.

Fatte queste premesse, credo che una riflessione sul tema dell'incontro odierno debba partire da un dato: l'Italia, con la Legge Basaglia e i successivi interventi legislativi, si è dotata del quadro normativo più avanzato per la tutela dei diritti delle persone con disturbi mentali, come riconosciuto dall'OMS.

La legge 180 del 1978, stabilendo la chiusura dei manicomi, ha segnato l'inizio di un percorso virtuoso, incentrato su un principio cardine: restituire dignità e diritti a persone prima escluse e segregate, che sono tornate ad essere cittadini a pieno titolo, almeno sul piano formale. In questo modo si è inteso superare la convinzione radicata per cui persone affette da disabilità mentale fossero incurabili e che andassero quindi rinchiuse, nascoste, dimenticate in quei luoghi spaventosi. E privilegiare pertanto servizi e presìdi sociosanitari extraospedalieri di cura, prevenzione e riabilitazione diffusi nel territorio.

Siamo tuttavia consapevoli che la legge Basaglia, come le leggi successive intervenute secondo lo stesso spirito in materia, non hanno ancora ricevuto una piena ed effettiva attuazione.

Per un verso, sul piano culturale persistono pregiudizi e stereotipi: in parti non trascurabili della popolazione chi ha disturbi mentali è ancora considerato pericoloso e da isolare, se non addirittura da internare. Si arriva a chiedere persino la riapertura dei manicomi. Questo approccio è fonte di una inaccettabile emarginazione.

Per altro verso, si registrano - come avete giustamente denunciato nella Conferenza dello scorso anno - la riduzione dei dipartimenti di salute mentale nelle regioni e gravi difficoltà nel funzionamento dei servizi di salute mentale, che erano invece il fulcro del processo di prevenzione e cura avviato dalla legge Basaglia.

I servizi scontano una dotazione insufficiente di personale e di strutture, che sono in larga misura l'effetto dei tagli alla spesa sanitaria registrati nell'ultimo decennio nel nostro Paese. Esistono poi gravi disomogeneità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza per la salute mentale tra le regioni.

L'Italia, secondo i dati Ocse, spende per costi diretti e indiretti legati alla malattia mentale il 3,3% del Pil, dato leggermente al di sotto della media europea ma lontano da Paesi come la Germania - che impegna il 4,8% e la Spagna che si attesta al 4,2%,

Mi rendo conto che questa carenza del sistema sanitario e sociale crea un fortissimo disagio anche per le famiglie dei malati, che si sentono abbandonate. E voglio sottolinearlo, perché questo senso di abbandono, di smarrimento delle famiglie più volte mi è capitato di avvertirlo profondamente.

Se vogliamo attuare realmente la legge Basaglia - e dunque i principi costituzionali e internazionali che abbiamo prima richiamato - occorre dunque intervenire in due direzioni.

Dobbiamo innanzitutto tutti impegnarci sul piano culturale: del resto, la legge Basaglia era concepita come una legge "progressiva", che affidava alle istituzioni territoriali, agli operatori e a tutti i cittadini la responsabilità di attuare i principi di una rivoluzione culturale prima ancora che psichiatrica. E allora istituzioni, scuola, media, associazioni, singoli cittadini devono adoperarsi, ciascuno nel suo ambito, per sradicare, anche nel linguaggio, ogni pregiudizio o stigma. Per spiegare che la disabilità mentale non significa minaccia per la società. Per prevenire ed eliminare - senza esitazioni - ogni forma di emarginazione e discriminazione.

Occorre inoltre investire, con risorse adeguate, nella riqualificazione e nel rafforzamento, in ogni area del Paese, dei servizi per la diagnosi, la cura e la riabilitazione dei portatori di disagio psichico. Ed occorre verificare che siano effettivamente garantiti in questo ambito i livelli essenziali di assistenza senza disparità territoriali. Abbiamo un problema serio di risorse in alcune aree del Paese, e dove mancano risorse e personale le famiglie sono sole, la prevenzione degli stati di crisi diventa più difficile, e si corre il rischio che l'approccio inclusivo ceda il passo a soluzioni opposte. Il "modello Basaglia" è un "modello di comunità", fatto di presenza umana, rete di relazioni, percorsi terapeutici inclusivi. Tuttavia se mancano le precondizioni per realizzare questo, allora si riaffacciano i fantasmi delle pratiche manicomiali e repressive, purtroppo non ancora del tutto sradicate, a cominciare dalla contenzione meccanica.

E bisogna fare in modo che i programmi di intervento rispondano realmente alle esigenze delle singole persone con problemi di salute mentale e delle loro famiglie, integrando i profili sanitari e quelli sociali. In particolare, sono convinto che occorra privilegiare, rispetto al soggiorno in apposite residenze, interventi domiciliari e misure in grado di favorire la formazione, l'integrazione lavorativa e l'inclusione sociale dei disabili mentali.

Ricordo in ogni caso che una serie articolata di interventi secondo queste linee è stata prospettata da una risoluzione approvata nel novembre dello scorso anno dalla Commissione Affari Sociali della Camera.

Si tratta peraltro di una linea di intervento che deve inserirsi nel quadro di un più generale rafforzamento dell'assistenza territoriale sanitaria e sociale, di cui la crisi pandemica ci ha dimostrato drammaticamente l'urgenza. Sarà necessario, invertendo la tendenza registrata negli ultimi anni, restituire al Servizio Sanitario Nazionale strutture, personale e organizzazione adeguata al suo carattere pubblico e universale.

Prima di concludere, voglio dedicare una riflessione specifica - come avete fatto molto opportunamente nel corso delle precedenti Conferenze annuali - alla questione critica dei disturbi mentali di chi si trova in carcere o in altri luoghi in cui si è privati della libertà, come le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, (le Rems).

Le ultime relazioni annuali al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà ci confermano che non è pienamente garantito il diritto all'assistenza e alla tutela della salute per le persone autori di reato, con percorsi di cura dentro il carcere o alternativi alla detenzione.

Occorre anche qui anzitutto uno sforzo culturale, che porti ad escludere la riconduzione quasi automatica alla malattia psichica di ogni forma di disagio emotivo o comportamentale o ogni reazione alle condizioni di vita spesso non tollerabili negli istituti di reclusione.

Un importantissimo passo in avanti verso una maggior tutela dei diritti delle persone con disturbo mentale in carcere è offerto da una importante recente sentenza della Corte costituzionale. Questa pronuncia estende alla persona con grave malattia di tipo psichiatrico la possibilità di godere della misura alternativa della detenzione domiciliare cosiddetta "umanitaria" o "in deroga".

Concludo, ribadendo l'impegno del Parlamento, anche utilizzando gli stanziamenti resi disponibili dall'Unione europea, ad assicurare tutte le risorse e gli strumenti necessari affinché le persone con problemi di salute mentale non siano lasciate da sole o escluse. Ma siano cittadini con pieni diritti, in grado di partecipare alla vita del Paese.

Vi ringrazio.