24/01/2020
Montecitorio, Sala della Regina

Partecipazione all’incontro ‘Bartali campione Giusto’ in occasione del Giorno della Memoria

Buongiorno a tutte e a tutti.

Vi ringrazio per essere presenti a questa iniziativa con cui la Camera, come ogni anno, celebra il "Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti".

Saluto tutti i presenti: i ragazzi delle scuole, le autorità, la famiglia di Gino Bartali e tutti i relatori. E ringrazio Alessandra De Stefano per questo racconto.

Un saluto ed un ringraziamento particolare intendo rivolgerlo a Lello Dell'Ariccia, sopravvissuto alla Shoah e Presidente del Progetto Memoria. Dobbiamo essere profondamente riconoscenti a Lello e agli altri che hanno avuto ed hanno il coraggio e la lucidità di rievocare la terribile esperienza personale e dei loro cari, tenendo viva la memoria nelle generazioni più giovani dell'orrore della Shoah.

Un piano criminale di cui fu principale vittima il popolo ebraico e che colpì anche Rom, Sinti, disabili, omosessuali, così come gli internati militari e gli oppositori del nazismo e del fascismo.

Celebrare il Giorno della Memoria significa anzitutto rendere omaggio alle vittime ed ascoltare chi è sopravvissuto.

E significa ribadire - contro ogni ipotesi e tentativo di negazione o sottovalutazione - che anche in Italia vi furono tanti complici dello sterminio, non solo tra le fila del regime fascista ma nella stessa popolazione. Nel 1938 furono approvate ed applicate - come ricorda la targa apposta dal 2008 in questa Sala - le leggi razziali cui pochi, nelle istituzioni, nella società, nel mondo accademico, culturale ed economico, ebbero il coraggio di opporsi apertamente.

Dopo l'8 settembre del 1943 le milizie fasciste collaborarono attivamente alla schedatura, alla cattura e alla deportazione degli ebrei italiani - nostri concittadini - verso i campi della morte.

Desidero ricordare la vicenda - legata a questa Istituzione - di Carlo Finzi, direttore del Servizio Resoconti e degli studi legislativi della Camera. Nel 1936, due anni prima dell'adozione delle leggi razziali, fu costretto al pensionamento dal regime fascista e il 16 ottobre del 1943 fu catturato e deportato ad Auschwitz-Birkenau dove fu mandato a morte.

Al tempo stesso, celebrare il "Giorno della Memoria" significa rendere anche omaggio a chi trovò il coraggio e la determinazione di non voltarsi dall'altra parte. E si adoperò attivamente, spesso a rischio della propria vita, per salvare gli ebrei dallo sterminio.

Per questa ragione, abbiamo voluto dedicare l'iniziativa odierna a Gino Bartali. Uno straordinario e intramontabile campione di ciclismo ma anche e soprattutto un uomo buono, coerente con la sua profonda fede e con i suoi ideali. Che ha fatto prevalere il senso di umanità, il rispetto della vita e dei diritti fondamentali, su ogni altra cosa.

Già nel corso degli anni Trenta, Bartali aveva saputo resistere alle pressanti richieste del regime fascista di farne un proprio "trofeo" da esibire a livello interno ed internazionale. Rifiutò sempre di iscriversi al Partito nazionale fascista. In occasione della vittoria del Tour de France del 1938 evitò il saluto romano dal podio e una volta rientrato in Italia, rifiutò di indossare la camicia nera e fu per questo oscurato dai mezzi d'informazione. Questo suo atteggiamento fiero e coraggioso fu tollerato dal fascismo esclusivamente per la fama che aveva conquistato in patria e all'estero.

Tra il 1943 e il 1944, durante l'occupazione nazista, Bartali divenne parte di una rete clandestina promossa dal cardinale Elia Angelo Dalla Costa e dal rabbino capo di Firenze Nathan Cassuto per nascondere gli ebrei, camuffarne l'identità con documenti e tessere falsi e consentirne la fuga.

Bartali percorse centinaia di chilometri di strade secondarie trasportando nel telaio della sua bicicletta documenti e fotografie falsi. Utilizzando la sua notorietà riusciva ad evitare i controlli che comunque non mancarono e ne misero a rischio la libertà e la vita stessa.

Ospitò inoltre in un appartamento di sua proprietà una famiglia di ebrei fiumani in fuga.

Contribuì così a salvare oltre 800 persone, secondo le stime più accreditate.

Per quelle imprese generose e coraggiose gli è stata conferita, dopo la sua morte, la medaglia d'oro al merito civile del Presidente della Repubblica e nel 2013 è stato riconosciuto "Giusto tra le Nazioni" dallo Yad Vashem. Nel 2018 gli è stata poi attribuita la cittadinanza onoraria di Israele.

Mai in vita Gino rivendicò i suoi meriti, anzi si rifiutò di parlarne quando fu interpellato, considerando - come abbiamo ascoltato dalla sua viva voce - che il bene si fa per rispondere alla propria coscienza, per il suo valore intrinseco, non per raccontarlo.

Gli altri relatori potranno aggiungere altri dettagli sulle gesta di Bartali, di cui sono esposti una bicicletta ed altri oggetti significativi per ricordarne ed onorarne la figura. E proporlo quale esempio per i più giovani.

Ringrazio vivamente i direttori del Museo del ciclismo Gino Bartali di Firenze e del Museo della memoria di Assisi, che sono qui presenti, per aver consentito di allestire questa piccola ma preziosa mostra che sarà aperta a tutti i cittadini a partire dal 27 gennaio - in coincidenza con il Giorno della Memoria - sino a domenica 2 febbraio per Montecitorio porte aperte.

Confido che questa iniziativa su Gino Bartali offra un importante contributo a raccontare la Shoah. Ne abbiamo più che mai bisogno. 75 anni dopo l'abbattimento dei cancelli di Auschwitz permangono infatti focolai di antisemitismo che alimentano - addirittura in Europa - rischi per la sicurezza degli ebrei, al punto di indurli in alcuni casi ad abbandonarla.

Ricordo che nel 2018 l'Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea ha registrato 197 episodi di antisemitismo, con un netto aumento, pari al 60%, rispetto ai due anni precedenti.

Ciascuno di noi nel suo ambito ha dunque il dovere morale e civile di contrastare quotidianamente chi alimenta l'odio antisemita e, in generale, ogni altra forma di odio e discriminazione basata sulla etnia, sulla religione, sull'orientamento sessuale e sull'appartenenza a particolari gruppi sociali. Il dovere di reagire ad ogni forma di negazionismo, inclusa quella di chi sminuisce la portata delle leggi razziali o il ruolo del regime fascista nell'Olocausto.

Ce lo impone anche la nostra Costituzione che nasce dalla resistenza e si fonda sul ripudio del fascismo e sull'affermazione di principi e valori fondamentali volti ad impedire che le persecuzioni e gli orrori di quegli anni possano ripetersi.

In questo senso, il Parlamento - come è iscritto nella targa qui in Sala - è e deve sempre più essere il baluardo della dignità e della libertà della persona.

Negli ultimi anni ha continuato a dare il proprio contributo nella giusta direzione, a partire dall'approvazione della legge che introduce un'aggravante per reati previsti dalla legge Mancino quando essi si fondano sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra.

Ma nessuna legge o sentenza potrà metterci al riparo dall'odio e prevenire nuove deportazioni, nuovi massacri, nuove pulizie etniche se non si apprendono le lezioni della storia. E se non si affrontano con strumenti culturali adeguati - e coerenti con i valori di solidarietà, pace e tolleranza - le complessità del presente.

Primo Levi scrisse non a caso, con riferimento all'Olocausto che "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre".

Ed è questo il senso di questa giornata. È questo l'insegnamento che discende dalla vita di Gino Bartali.

Grazie.